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Educare prima per educare in tempo

Febbraio 27
22:58 2011

Un Preside mi ha detto che nella sua scuola non ci sono problemi di bullismo, non c’è alcun eccesso di aggressività dirompente, neppure uso di sostanze stupefacenti, insomma un istituto che non ha falle né disattenzioni da consegnare alle solite giustificazioni. Una scuola vera in un paese vero, dove l’intera comunità partecipa al bene di ogni adolescente. È confortante apprendere che non tutto è perduto, e che addirittura un’accentuazione del problema non produce buona prevenzione, ma distribuisce ulteriore paura di rimanerci incagliati dentro. La scuola, la famiglia, la società, una triade che forma le coscienze e consegna libertà, spingendo a formulare scelte e stili di vita responsabili negli anni che dobbiamo riempire di contenuti. Quel Preside non ritiene di doversi preoccupare per la sua scuola, per i suoi studenti, è convinto di esser al sicuro, il suo territorio scolastico è uno spazio pulito che promuove efficacia-efficienza educativa: ma proprio per questo perché non prendere in considerazione l’opportunità di appropriarsi di strumenti idonei a contrastare eventuali dinamiche che coinvolgono i più giovani? La scuola dovrebbe essere quella disegnata da questo Preside, una parte importante del territorio che non cede metri all’usura e allo sconquasso delle dimenticanze.
Una scuola che non scivola nell’indifferenza, ma combatte i rischi dell’incuria adolescenziale, fa sì che si parli, si ragioni senza veline o resistenze su cosa significa essere violenti, cosa comporta avere nelle tasche una dose di droga, cosa potrebbe avvenire a vivere nell’illegalità, e infatti il carcere non è quello rappresentato “filmograficamente”, ma ben peggio, è quello dove se qualcuno ci muore nel silenzio, nessuno si sorprende.
In quella scuola ognuno svolge il proprio ruolo con intelligenza, la collettività è aperta allo scambio relazionale, perché allora non munirsi di una formazione e di una conoscenza, allorquando dovesse presentarsi sull’uscio l’ospite sgradito. Occorre parlarne, è necessario farlo con un’analisi che non tralascia niente, con la fermezza dei piedi ben piantati per terra, affinché i più giovani, quelli sempre più spesso ammaliati dal colpo sferrato dietro il mucchio, dallo spinello provato e usato per rimanere dentro il quadrato, non abbiano a issare bandiera bianca prima ancora di iniziare a vivere. Potrebbe essere salutare prendere atto del dazio da pagare sbattendoci il grugno sulla storia, sulla testimonianza, sulla sequela degli errori, ai ragazzi bisogna fare arrivare forte e chiaro cosa significa denudare dei diritti un coetaneo, quali droghe-bugie assumiamo, quale sarà la batosta che ci attende al varco, il dolore disperato perché dentro una galera invivibile.
Non è necessario affidare alle minacce la speranza del futuro, ma dobbiamo rifiutare di licenziare questa tragedia definendola una risultanza prettamente sociale, quindi costringendo le responsabilità a non trovare cittadinanza nella scuola e nelle sue tre componenti cardinali: genitori, insegnanti, studenti. Sono felice di constatare che la scuola è anche e soprattutto quella del Signor Preside, ma proprio per questo occorre partecipare ed essere pronti a intervenire, infatti qualsiasi scelta di prevenzione si realizza con l’educazione, e solamente con essa scaturisce la possibilità di educare prima, di educare in tempo.

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