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Dove ti porta il caso

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Titolo:      Dove ti porta il caso
Autori:      Aldo Onorati
ISBN-10(13):      978-88-95736-22-8
Editore:      Edizioni Controluce
Data pubblicazione:      Maggio 2014
Edizione:      I edizione
Numero di pagine:      144
Formato:      140 x 210
Collana:      Narrativa

 

Descrizione

 

Gli esseri umani sono artefici del proprio destino, oppure debbono sottostare ai capricci del Caso? E, se è così, il Caso è cieco o vede di traverso le cose, alleandosi: anch’esso coi furfanti e gli sfrontati? Con umorismo che sfiora, talvolta il grottesco’ l’autore racconta storie che lasciano un segno e fanno riflettere sulle contraddizioni della vita e 1’assurdo del mondo.

Due parole ai miei nove lettori
Amici cari e pazienti, qualcuno di voi avrà letto qualcosa di me: ho pubblicato molto e scritto ancor di più: ognuno di noi ha almeno una debolezza, diciamo un piccolo vizio. Purché non danneggi altrui (il sottoscritto – tanti possono esserne testimoni – non sevizia nessuno leggendo le proprie poesie; anche le prose, le dona – se richiesto – senza chiedere pareri né soldi, e, alle poche presentazioni che gli fanno, non obbliga nessuno a venire).
Ho una certa età. Nutro da anni un desiderio innocuo: mettere in bella copia gli oltre mille racconti accumulati in più di cinquan¬t’anni. Di essi, ne ho pubblicati solo tredici, in un libretto dal ti¬tolo emblematico: “Casualmente”. Qualcuno è apparso su giornali e riviste in tempi immemorabili. Poi, ho lasciato sempre stare l’idea di pubblicarli. Primo, perché il racconto (la nostra vera grande tra¬dizione) non vende una copia: gli editori chiudono i battenti ap¬pena sentono la parola “novella” o “racconto”, perché in Italia va solo il romanzo, anche se è la lista della spesa allungata o l’elenco telefonico abbreviato.
Nella mia produzione, numerosa ahimé, ho stampato solo un libro che tutti considerano un vero romanzo: “La speranza e la te¬nebra”. Altre narrazioni lunghe, non sto nella coscienza di chia¬marle con lo stesso nome. Bisogna avere contezza dei propri limiti e non spacciare una cosa per un’altra. Tuttavia, la qualità non c’en¬tra niente fra i due generi. Sarebbe la stessa sciocca distinzione che si fa tra poesia e prosa in base all’ accidente: l’andare a capo e spez¬zare il rigo. I racconti di Maupassant, Cechov, Pirandello, Verga, D. Rea, Boccaccio, Chaucer, Sacchetti e mille altri, stanno chilometri più in alto di tanti romanzi pesanti, fasulli e da rogo, ma venduti a milioni di copie! Però, la stoltezza umana e la pigrizia editoriale, il qualunquismo critico, la raccomandazione, il mercato, l’apparte¬nenza etc., puniscono il racconto, obbligando l’autore ad annacquarlo fino almeno a 200 pagine dalle dieci-quindici che era: così eccoti il roomaanzoo che non ha più la stringatezza del racconto né le trame multiple intersecantisi dell’altro genere oggi in voga.
lo sono un autore di racconti e (un paio di volte) di romanzi. Ora, essendo chiuso il mercato a questo illustre genere patrio (il novellare), ed avendo un’età rispettabile, un po’ per gioco un po’ per non lasciare la fatica di decodificare la mia grafia illeggibile ai miei figli e a mia moglie, o a qualche volenteroso che ha pietà degli autori morti (dalla fortuna bazzotta in vita), ho deciso di pubbli¬care, in tiratura ridotta, quanti più racconti posso tra il migliaio gia¬cente alla rinfusa in cassetti, ante, cartoni, appunti vari, scatoloni in cantina ormai mezzo ammuffiti. Se ho sbagliato, a nessuno ho chie¬sto una lira né lo sforzo di leggermi. Se per caso ho fatto bene (ma lo diranno i cosiddetti posteri: beato chi spera in essi), coloro i quali trarranno un certo piacere spirituale da queste pagine, facciano il passa parola, così che, da nove, i lettori diventino trentatré (quanti erano quelli ipotizzati da Manzoni).
Comunque, se uno non fa male ad altrui, e non obbliga nessuno a sentire le proprie creazioni, può essere perdonato di un hobby in¬nocuo e sterile come quello dello scrivere e pubblicare. In quanto a me, ripeto l’antico adagio: “Dove c’è gusto non c’è pendenza” .
Mi spiace per gli alberi, che amo appassionatamente, ma ne ho risparmiati e curati tanti nella campagna paterna e nel mio campi¬cello, ne ho difesi a perdita d’occhio nei boschi, con la parola, gli scritti e i fatti, da meritarmi la comprensione anche del celeste regno vegetale se qualche tronco è servito a fare da carta alle mie debolezze di scrittore.

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