Ebbrezza del legislatore?
Agli studenti di diritto costituzionale insegnavano (sarà ancora così speriamo) che l’art. 3 si può violare essenzialmente in due modi: trattando situazioni uguali in modo diverso, o, viceversa, trattando situazioni diverse in modo uguale. La seconda operazione sembra sia stata messa in atto dal legislatore nella formulazione (carente) dell’art. 186 del Codice della Strada e recenti aggiornamenti. La norma tratta la guida in stato di ebbrezza e commina differenti sanzioni, amministrative e/o penali, a seconda del tasso alcolemico riscontrato. Le tabelle previste sono uniche e generali, valgono perciò indifferentemente nei confronti del contravventore, sia esso di sesso maschile o femminile.
Questo pare il punto dolente. È constatazione comune, ma suffragata naturalmente e ovviamente da riscontri scientifici, che tra uomo e donna, a parte la altrettanto ovvia e accertata parità come persona, vi siano differenze fisico-organiche che portano in innumerevoli campi (protocolli medici, regolamenti sportivi, trattamenti pensionistici ecc…, ecc…) a dettare regole rapportate alla differente capacità di sopportazione, metabolizzazione e reazione che, si ripete a scanso di equivoci, è del tutto naturale e priva di connotazioni pregiudiziali.
A chi scrive non sfugge che, per come si determina il tasso alcolemico (concentrazione dell’alcool nel sangue), sembrerebbe non esserci discriminazione – la donna in genere raggiunge la soglia prima e l’uomo dopo, ma il livello è uguale – ; è però sulla sopportazione e sulla reazione, proprio a causa della diversa struttura (ad es. l’uomo entra in coma etilico in prossimità dei 4 mg, la donna già verso i 2,5), che permangono dubbi di rispetto di eguaglianza. E d’altra parte basta consultare un banale referto di analisi cliniche e chiedersi il perché della significativa differenza, tra uomo e donna, nella indicazione dei cosiddetti valori normali.
Questa carenza appare tanto più incomprensibile alla luce dei recenti aggiornamenti che prevedono il tasso zero per i minori di 21 anni, per i neopatentati fino a tre anni (?), per gli autisti professionali ecc… Insomma, se proprio si voleva spaccare il capello in quattro, si sarebbe utilmente potuto analizzare a fondo la situazione differente più diffusa, per giunta con il supporto di conoscenze mediche diremmo elementari.
In questi casi si ha quasi l’impressione di aver argomentato a sproposito o scioccamente, in base alla nota regola non scritta che recita: «ma ti pare che se la cosa fosse fondata…».
Potrebbe accadere però che si tratti di uno dei tanti ovetti di Colombo che girano indisturbati ed inascoltati fino a che un solone da “diecimila euri la mesata” non se ne appropri, magari in campagna elettorale, ungendoli col crisma legale.
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