È solo l’inizio…
È bene partire subito da una certezza: La lotta alla mafia non è finita, anzi ora richiede uno sforzo maggiore per poter comprendere non solo come e grazie all’appoggio di chi, Matteo Messina Denaro sia riuscito ad essere latitante per trent’anni, ma soprattutto come sia riuscito, nell’ultimo paio d’anni, a muoversi indisturbato nella sua terra d’origine, sottoponendosi ad un’operazione e a cure settimanali. Come da molti autorevoli giornalisti e critici sostenuto, non è solo all’interno delle parentele dei boss che bisogna sviscerare, ma anche nell’ambito di quella rete di collaboratori e professionisti a cui i boss, inevitabilmente, devono fare affidamento. Proprio come Vito Nicastri, ex elettricista di Alcamo, fervente sostenitore del green in Sicilia, che per anni ha gestito il denaro di “U’ Siccu”, o come l’ex consigliere comunale di Castelvetrano, uomo di fiducia di Messina Denaro, a cui sono stati confiscati beni per un valore di circa 1 milione di euro. Basta pensare che, facendo riferimento solo ai beni sequestrati e confiscati, il patrimonio di Messina Denaro ammonta a circa 4 miliardi di euro. Quanto ancora ci sarà da scoprire sul patrimonio di colui che certamente avrà anche “ereditato” molto da Riina? Resta fermo il fatto che è su quei professionisti che, apparentemente, svolgono solo il proprio dovere, che bisogna concentrare l’attenzione, come il medico che ha avuto in cura e che ha operato il boss: davvero non sapeva che di fronte a sé aveva Matteo Messina Denaro? Certo, l’immagine dell’uomo che abbiamo visto al momento della sua cattura il 16 gennaio scorso e del suo accesso in carcere si discosta molto da quella foto che ritraeva un Messina Denaro giovane intento a fare un brindisi. Eppure, a ben vedere, i lineamenti del volto sono i medesimi: come è possibile che nessuno, proprio nessuno, nella sua terra lo abbia riconosciuto o sia stato per lo meno sovrastato da un legittimo dubbio? O forse dovremmo rassegnarci nel constatare che le persone scese in piazza per festeggiare la cattura del boss di Castelvetrano rappresentano una ridottissima minoranza rispetto ad una collettività coscientemente e consapevolmente collusa e complice? È indubbiamente certo che il super latitante ha potuto contare su una vasta rete di “protettori”, anche in ambito politico, come Antonio D’Alì, l’ex sottosegretario al ministero dell’interno nel governo berlusconiano, condannato in Cassazione poco tempo a fa, precisamente a dicembre scorso, a scontare 6 anni di carcere a causa dei suoi rapporti consolidati, a partire dagli anni ’80, con i Messina Denaro. Cosa è cambiato negli ultimi anni? Come mai un latitante del calibro di Messina Denaro si sottopone sorridente a selfie e giunge persino a fornire il suo numero di telefono scambiandosi messaggi con le pazienti che incontrava in occasione delle sue sedute chemioterapiche? Le risposte sono due: o era così sicuro di non essere scoperto da lasciarsi andare ad atteggiamenti a tal punto spregiudicati, oppure voleva farsi prendere, ma perché? Rispetto a quanto affermato il 5 novembre scorso da parte di Salvatore Baiardo, collaboratore di giustizia, che un tempo intratteneva rapporti con la famiglia Graviano, in occasione di un’intervista rilasciata a Giletti per la trasmissione di La7 “Non è l’Arena”, durante la quale preannunciò che Messina Denaro, in quanto molto malato, si sarebbe consegnato, è necessario chiedersi come faceva a sapere quelle cose e perché le ha dette. E ancora, chi ha preso, ora, il posto di Messina Denaro? Tanti sono i quesiti a cui è necessario fornire una risposta… Massiccio è il lavoro che spetta agli investigatori, ma anche al governo che ora è chiamato, più che mai, a passare dalle parole ai fatti. Come suggerito da Enzo Ciconte, professore di Storia delle Mafie al Collegio Santa Caterina dell’Università di Pavia, nonché, mi preme sottolinearlo, persona da me profondamente stimata, gli obiettivi che devono essere realizzati e nel più breve tempo possibile sono: la revisione della legge sugli appalti pubblici, nella consapevolezza che è proprio lì che la mafia realizza i suoi più grandi affari, difendere le intercettazioni, che costituiscono uno strumento essenziale per le indagini antimafia, e soprattutto non perdere più tempo nell’istituzione di una Commissione parlamentare antimafia. Significative le parole del professor Ciconte, da tenere bene a mente: “Se non si prende atto della necessità di contrastare in ogni modo l’economia mafiosa, la festa di ieri finirà presto”.
Non ci sono commenti, vuoi farlo tu?
Scrivi un commento