È morto Giuseppe Di Stefano, cantante lirico da leggenda
Giuseppe Di Stefano, il popolarissimo tenore, protagonista di eccezionali interpretazioni in tutti i teatri del mondo, morto. Aveva 87 anni.
È difficile parlare di lui. Straordinario artista, uomo generoso, fantasioso, cordialissimo con tutti. Aveva una personalità forte ed estremamente indipendente. È stato uno dei più grandi tenori, ma non ha mai fatto il “tenore”. Come egli stesso affermava: “Io sono un uomo che per divertirsi ha anche cantato”.
Ha polemizzato con direttori d’orchestra, con colleghi cantanti, con i critici, ma sempre con grandissima civiltà. Nella sua carriera ha avuto alti e bassi. È stato sommo, inarrivabile. E poi, per vicende strane, è caduto, ancor giovane, in difficoltà vocali tremende. Ma, per quello che ha realizzato, farà sempre parte della storia della musica.. E della Storia della musica con la “S” maiuscola. Tra le grandi voci del secolo ventesimo, occupa un posto di primaria importanza. Per certi versi, è stato un tenore unico. Anche perchè la bellezza della sua voce si è sempre accompagnata a una stupefacente chiarezza declamatoria e interpretativa, come raramente è dato incontrare. Il suo fraseggiare, il suo porgere, sia nelle arie come nei recitativi, era spontaneo, naturale, perfetto, degno di un attore di prosa. “In palcoscenico io “recito cantando”, affermava con orgoglio quando era in carriera, e nessuno lo faceva con l’eleganza e la magia che aveva lui.
Di Stefano è nel cuore di tutti i veri appassionati canto e lo resterà sempre. Pensando a lui, si immagina una voce, bella come nessun’altra, libera e fresca come quella di un Dio, che se ne va, ineffabile, nell’aria. Nelle opere liriche, come nelle canzoni, trascinava in un mondo di emozioni indimenticabili.
È una leggenda anche perchè è stato protagonista di un evento unico nella storia della musica: ha spesso cantato in coppia con Maria Callas, formando con la “divina” un “duo” irripetibile. Pippo e Maria erano due geni del palcoscenico. Due personalità forti e incoercibili, che, messe insieme, formavano una miscela esplosiva, dalla forza artistica incalcolabile. Chi ha assistito alle loro opere negli anni Cinquanta sa che un miracolo del genere non succederà mai più. Ma, per fortuna, le loro interpretazioni, ancora diffuse in milioni di Cd, continuano a stupire ed emozionare il mondo.
Era venuto alla ribalta nell’immediato dopo guerra. Aveva debuttato a Reggio Emilia nella “Manon” di Massenet nel 1946. Pochi mesi dopo era alla Scala e nel 1948 al Metropolitan di New York. Toscanini lo sentì alla radio e gli telefonò subito in albergo, dicendogli che gli piaceva come cantava “senza smancerie” . Nel gennaio 1951, quando Toscanini diresse alla Carnee Hall di New York il “Requiem” di Versi, per ricordare i cinquantanni della morte del grande compositore di Busseto, volle Di Stefano. E al termine di quella esecuzione, regalò al tenore una medaglia d’oro. Su un lato vi era il volto del compositore e sul rovescio la dicitura: “A Giuseppe Di Stefano in ricordo” e la firma autografa di Arturo Toscanini.
Di Stefano ha sempre portato con sé quella medaglia. Diceva che era uno dei ricordi più belli della sua carriera. Le teneva al collo, appesa a una collanina d’oro e non se la toglieva per nessuna ragione al mondo. Quando gliela strapparono di forza, gli portarono via anche la vita.
Accadde nel pomeriggio del 29 novembre 2004. Giuseppe Di Stefano era appena arrivato in Kenya, insieme alla moglie Monica, in una bella villa che si era fatto costruire a Mombasa. Da diversi anni aveva preso l’abitudine di trascorrere le stagioni invernali, laggiù, al caldo. “Emigro come le rondini”, diceva felice. Quel giorno, appena arrivato, vide nel giardino della sua villa degli indigeni che venivano verso di lui. Li salutò festoso. Pensava fossero dei suoi ammiratori che venivano a dargli il benvenuto, come accadeva sempre quando arrivava per le vacanze. Invece, erano dei banditi, dei ladri. Estrassero delle rivoltelle e sotto la minaccia delle armi tolsero a lui, a sua moglie Monica e un amico italiano che era con loro, tutto ciò che avevano di prezioso: orologi, denaro, anelli, bracciali, catenine. “Stiamo calmi”, ripeteva Di Stefano, sapendo che anche una minima reazione poteva provocare una tragedia. Ma quando un bandito tentò di colpire uno dei suoi cani, reagì e si prese un violento pugno in faccia. Poco dopo, il bandito tentò di strappargli la medaglia di Toscanini e Di Stefano gridò “no, questa no” cercando di proteggerla con le mani, ma il bandito lo colpì violentemente e il tenore perse l’equilibrio e cadde per terra battendo la testa. Il bandito infierì ancora contro di lui con dei calci, poi gli strappo la catenina con la medaglia d’oro di Toscanini e fuggì con i suoi complici.
Di Stefano aveva perso i sensi. Lo portarono all’ospedale. Era in coma. Fu operato al cervello. Dopo un mese venne trasferito in Italia. Uscì dal coma, ma non si riprese. Da allora, è vissuto immobile, senza memoria, senza poter parlare, in una specie di coma vigilie, e doveva essere alimentato da una macchina.
Per fortuna ha sempre avuto accanto la moglie, Monica Curth, soprano tedesco, che aveva sposato in seconde nozze. Un vero angelo che non ha mai abbandonato il tenore infermo neppure per un momento. Per più di tre anni è stata la sua infermiera, pronta a servirlo personalmente in tutto, giorno e notte e sempre con amore infinito e il sorriso sulle labbra. Inseparabili, fino all’ultimo respiro che di Stefano ha emesso alla 8.30 di lunedì 3 marzo, mentre Monica gli accarezzava il volto.
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