…e lo chiamarono “Ringo”
Richard Parkin Starkey ha sempre amato il suo paese ma anche l’America e la musica country. Esordì nel 1957 con l’Eddie Clayton Skiffle Group, un gruppo formato da cinque ragazzi che lavoravano nella stessa azienda. Successivamente, nel marzo 1959, si unì al Darktown Skiffle Group e infine fu reclutato dagli Al Caldwell’s Texans, che sarebbero in seguito diventati gli Rory Storm and the Hurricanes.
Fu Rory Storm che lo convinse ad adottare quel soprannome che l’ha reso celebre. Lui prese il nome di Ringo sul palcoscenico, non solo a causa degli anelli che portava, ma anche in onore di “Johnny Ringo”, un vero cowboy, anzi, un pistolero dell’Arizona, membro di una banda di criminali, molto nota nel Far West, che si faceva chiamare proprio The Cowboys. Gli Hurricanes, all’inizio degli Anni’ 60, divennero il gruppo più popolare di Liverpool, e qualche volta, con Ringo che suonava la batteria, incrociarono i Beatles sul palco: accadde nel 1960 ad Amburgo, i due gruppi si alternarono al Kaiserkeller, il club arredato in stile marinaresco noto per essere il più rissoso della città. La svolta artistica per Ringo Starr avvenne nell’agosto del 1962. I Beatles erano reduci dal provino del 6 giugno agli Abbey Road Studios, durante il quale il produttore George Martin rimase deluso dalla prestazione di Pete Best, tanto da convincere Brian Epstein, il manager del gruppo, a sostituire il batterista. Ringo Starr, nel frattempo, era impegnato col gruppo di Rory Storm, ma venne contattato da John Lennon e Paul McCartney, che vollero portarlo nei Beatles a tutti i costi. Per i due, lo stile di Ringo era personalissimo e originale. Col suo ingresso nei Beatles nacque quell’alchimia irripetibile nella storia della musica pop che ha fatto dei Fab 4 una leggenda eterna. Eppure nemmeno l’esordio beatlesiano di Ringo fu apprezzato dall’incontentabile George Martin il quale, riascoltando la registrazione, la trovò piatta, fiacca e banale. In quello studio di Abbey Road, situato in una strada che ormai è mitica, i Beatles entrarono per consegnarsi alla storia della musica mondiale. Era il 4 settembre 1962. Quel giorno il produttore della EMI disse «no» a Ringo Starr. A sostituirlo fu chiamato Andy White, il batterista che suonerà nella prima registrazione di Love Me Do e di P.S. I Love You, il 45 giri che segna l’esordio discografico dei Beatles, avvenuto ufficialmente il 5 ottobre 1962. Durante quella seduta, Ringo si adattò a suonare il tamburello – come rinforzo al rullante in Love Me Do – e le maracas – in P.S. I Love You. Nella quarta sessione di registrazione finalmente Ringo prenderà in mano le bacchette ma, anche se il singolo uscirà con l’interpretazione vocale e strumentale dei Beatles al completo, Please Please Me, il primo album, che arriverà nella primavera del 1963, conterrà la versione di Love Me Do con White alla batteria. Ma saranno indubitabilmente loro: John, Paul, George e Ringo ad esplodere come fenomeni musicali. Tra il 1964 e il 1965, gli Stati Uniti ne saranno folgorati. Alla fine del 1963, Lorne Greene, stella del cinema soprannominata “The Voice of The Dome”, noto per aver interpretato il personaggio di Bonanza in Tv, pubblicherà un album intitolato Welcome to Ponderosa che contiene una canzone dedicata a Johnny Ringo, il pistolero. La “Beatlemania”, intanto, aveva raggiunto il culmine e allora la RCA decise di approfittarne e di lanciare il brano, Ringo, come singolo. La canzone, malgrado non avesse niente a che fare con Richard Starkey, diventò il numero uno delle classifiche statunitensi, a dicembre. Da quel momento, ovunque risuonasse la canzone del cowboy, il pensiero correva immediatamente a Ringo Starr. Ma l’ultimo entrato nei Beatles, insieme al soprannome, aveva il sound di Nashville nelle corde e tra le dita: è lui ad interpretare Act Naturally, la cover di Buck Owens che i Fab Four inclusero nell’album Help!. Ma Ringo Starr è anche l’autore di altre 2 perle in stile country: What Goes On (scritta insieme a Lennon e McCarney) – che i Beatles realizzarono per Rubber Soul – e di Don’t Pass Me By, brano di cui Ringo fu autore unico, cantante ed anche il pianista. Il motivo accattivante, arricchito da un’atmosfera leggera creata dal violino, si trova nel White Album. Con tutto il suo amore per la country music, quando Starr incontrò, a Nashville, il chitarrista Pete Drake – che nel 1970 era al fianco di George Harrison che, coi Beatles ormai sciolti, lavorava al proprio album All Things Must Pass – fu naturale per i due condividere una collaborazione. Ringo aveva già inciso un suo LP da solista, ma al chitarrista disse che gli sarebbe piaciuto realizzare un album di musica country. Drake gli rispose che l’idea era grandiosa perché tutti i musicisti di Nashville sarebbero stati felici di partecipare al disco di Ringo Starr. Drake fece centinaia di sessioni per sottoporre a Ringo una vasta scelta di canzoni. Il batterista le avrebbe selezionate in 2 giorni, non appena fosse giunto a Nashville. E così fu: il 22 giugno Ringo arrivò in città. Tra il 30 giugno e 1 luglio del 1970 selezionò il materiale che avrebbe composto la title track dell’album. Beaucoups di Blues, uscì il 25 settembre. Tra le 12 canzoni, composte quasi teutte da autori della Country & Western, Starr selezionò il brano di Buzz Rabin, una cantautrice di Nashville, per intitolare questo disco che, tra gli altri, contiene un certo numero di brani dei Jordanaires, incomparabili coristi per Elvis Prestley in molti dei suoi classici (a partire da Heartbreak Hotel) e per Ricky Nelson.Nell’album c’è un unico brano scritto da Ringo Starr: Coochy Coochy. L’album non ottenne successo: completamente ignorato dai fans inglesi, arrivò fino al 65° posto delle classifiche statunitensi. La favola dei Beates aveva ormai raccontato il suo finale e sembrava che niente avrebbe potuto eguagliarla. Ringo decise così di diventare un attore per il cinema, finché un gruppo di critici musicali non rivalutò il suo album country, definendolo come una delle migliori produzioni del genere. Ecco allora che, nel 1973, Ringo ritornò sulle scene musicali. Con un piccolo aiuto dei suoi amici – tutte star della musica – nel 1973 pubblicò il suo terzo album. Il disco porta il suo nome ma anche le voci e gli strumenti di Billy Preston, Marc Bolan, Nicky Hopkins, Jack Niztche, Martha Reeves, Harry Nilsson e soprattutto di John Lennon, Paul Mc Cartney e George Harrison, i suoi vecchi compagni di viaggio. Ciò accadde e dimostrò che la parabola dei Beatles è fatta d’immortalità e di ritorni. E forse saranno proprio Ringo Starr e Paul McCartney a tornare a raccontarcela: dal 5 ottobre 2012 che scandirà il 50° anniversario della loro storia.
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