E la chiamano estate… Scene di instabilità generale, non solo climatica
Famiglie di quattro persone si accontentano di condividere a turno un lettino sotto l’ombrellone.
Il pranzo, manco a dirlo, portato da casa. La notizia che a Ostia sono stati aperti varchi sul lungomare perennemente blindato da stabilimenti privati (impossibile vedere il mare passando in auto) non desta sorpresa in chi frequenta la costa. La crisi c’è davvero. Non tutti possono permettersi una giornata in spiaggia comprando merci e servizi in continuazione.
Molti i venditori ambulanti stressati che si lamentano dell’eccessivo nervosismo e dei continui cenni, inequivocabili, che li invitano a stare alla larga. In ogni caso, per generazioni di italiani cresciute alla ‘luce luminosa del consumismo’ è ancora una vergogna non poter acquistare collanine e occhiali inutili sulla spiaggia, come non poter consumare in continuazione bibite fresche al bar; ma tant’è.
I venditori intanto sembrano triplicati: credono di aver capito che i soldi, nonostante circolino non meno di prima per chi fa qualche giorno di vacanza, abbiano preso altre vie (argomento volgare ma molto trattato a ogni angolo, assieme ai mondiali, alla disoccupazione diffusa, al renzismo: non necessariamente in quest’ordine).
Le spiagge bandiera blu – anche questo riconoscimento è stato messo ampiamente in discussione da sospetti galoppanti non del tutto infondati – sono molto frequentate da giovani russi con bambini e bambinaie al seguito; oppure da anziani tedeschi ancora innamorati dell’Italia che, come ci hanno spiegato fior di articolisti sulle maggiori testate nazionali, non è più in cima alla classifica dei desideri di viaggio, nemmeno di quei Paesi una volta detti ‘emergenti’.
Certo si potrebbe fare a meno del mare, anche se questo resta il miraggio di frescura più ambito. In altri circuiti di collina, nei paesi gioiello dell’Umbria e della Toscana, ci sono meno presenze: c’è un turismo attento che finora non ha temuto neppure l’eccessivo caldo, date le temperature ballerine, ma si è osservata una perdita continua e costante di interesse verso le bellezze storico-artistiche, a meno che queste non siano accompagnate da servizi e intrattenimenti d’ogni livello (terme, piscine, maneggi, moto quad per escursioni nei boschi). Inoltre fra i paesaggi collinari arriva il moto-turismo ‘mordi e fuggi’, centauri che alla fine della giornata escursionistica amano coccolarsi in agriturismi ben curati.
Un altro scenario
Non abbiamo più pirati sulle coste; i nuovi ‘invasori’ cominciano sempre per p e sono i poveri provenienti dall’Africa: al posto del rostro d’arrembaggio hanno braccia stecchite e lunghe mani scure. A chi li accoglie non oppongono armi, ma porgono i neonati appellandosi agli istinti più semplici. Molti non ce la fanno e restano immersi nel sogno, quell’eventualità/realtà tragica alla quale non vogliamo/possiamo pensare; della quale si vuole a ogni costo incolpare la gente semplice, comune, salvo ricordarle subito dopo che non ha i mezzi per contare più di nulla in politica, in economia, nella finanza globale.
In questa lunga, altalenante estate è difficile, almeno per chi vuole vedere, trovare riposo dalla quotidianità pressante. Eppure in qualche caso una gentilezza nuova fa sentire tutti e ognuno partecipi di qualcosa di difficile e imminente, che vuole integrare chi ha poco e chi cerca ancora benessere ed equilibrio, e ambisce a non coltivare sensi di colpa dilanianti. I tormentoni musicali sono all’ordine del giorno, ma quando da una terrazza-bar parte il motivetto di Riccardo del Turco, anno 1969, Ma cosa hai messo nel caffè / che ho bevuto su da te? / C’è qualche cosa di diverso / adesso in me / se c’è un veleno morirò / ma sarà dolce accanto a te / perché l’amore che non c’era / adesso c’è, si innescano canticchiate solitarie che diventano quasi coro. Forse è nostalgia. Ma, precisamente, di che?
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