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Due settimane al Campus Biomedico di Roma

Due settimane al Campus Biomedico di Roma
Novembre 05
14:53 2023

17/10/23

Ore 3,40, mi trovo al Pronto Soccorso del Campus Biomedico di Roma. Mio genero Franco mi ha accompagnato. Erano ore che un dolore lancinante allo stomaco non mi lasciava, pensando ad una indigestione mi sono provocato il vomito ma niente. Dopo un po’ il vomito, prima provocato, si vendica e riprende spontaneo per alcune volte, penso di aver rimesso il pranzo e la cena ma il dolore persisteva più forte di prima. Aspetto, passerà, sono quasi le tre del mattino, sveglio mia moglie e gli dico che vado al Pronto Soccorso. “Sei pazzo”, mi dice, “chiama tua figlia che non ti reggi in piedi”. Ha ragione. Chiamo mia figlia, dopo qualche minuto Franco mi viene a prendere. Ma poco prima che arrivasse, mia moglie decide di farmi una camomilla. Va ai fornelli e mette a scaldare l’acqua, io nel frattempo mi metto la giacca della tuta, mi giro verso di lei e la vedo lunga a terra. È svenuta con un po’ di sforzo riesco ad allungarla sul divano, nel mentre sono arrivati Franco e Daniela. La lascio alle cure di Daniela e parto con la speranza che non si sia rotto nulla. Le strade sono completamente libere, con meno di mezz’ora stiamo al Campus. Scendiamo, entriamo al Pronto soccorso, un brontolio dello stomaco mi avverte, metto una mano in tasca, prendo una busta che avevo riposto per precauzione, me la metto sulla bocca e subito un violento voltastomaco fa uscire quanto era rimasto in esso. Mi ricoverano, le prime cure e subito in una stanza con altre cinque persone tutte fresche di ricovero. Fortunatamente dopo un paio d’ore il dolore passa mi sento rinato. Ormai la notte è passata, il primo chiarore del mattino si intravvede dai vetri abbrunati delle finestre, dormire è impossibile, cambiano i turni di medici e infermieri, c’è un po’ di trambusto, cominciano le terapie. Arriva il mio turno: febbre, pressione, ossigenazione poi l’introduzione del fatidico ago cannula pronto per ricevere ogni tipo di terapia. Subito in funzione per l’antibiotico e per quei due litri di preparato che sostituiranno i miei pasti per non so quanti giorni. Passo la mattinata silenzioso, osservo i miei compagni di sventura poi man mano lo scambio delle prime parole, a fine sera è come se ci conoscessimo da anni. Siamo tutti del circondario, solo Antonio il mio vicino di letto viene da Sabaudia, lui è un agricoltore, ha nove ettari di terreno coltivati a serra, mi racconta vita, morte e miracoli. Tra di noi si instaura una specie di cameratismo, uno ha bisogno di acqua? Il vicino che ne ha in più offre una bottiglia, ad Antonio non funziona il telefono? Telefona con il mio e su lo stesso riceverà le chiamate di moglie e figli. Nella stanza c’è solo un malato che da “fastidio”, per qualche problema non può scendere dal letto e si agita, sbraida e impreca contro tutti perché non lo aiutiamo. Cerca in tutti i modi di sgaiottolare tra le barre del letto fino a rimanerne incastrato, siamo costretti a chiamare gli infermieri. Questo continua per tutto il giorno e la notte, intervallato da piccole pause per poi riprendere con grida e richiami a gente che forse esiste solo nelle sua mente.

Il Pronto soccorso è molto grande, tanti siamo gli assistiti e tanti sono i nuovi arrivati in attesa di soccorso. Viene spontaneo pensare a quanti, infermieri e medici si danno da fare per aiutarci spesso con una dolcezza e una gentilezza che non ti aspetti, anche quando la nostra testa ci rende animali irascibili e irragionevoli. Ogni tanto cambia qualche compagno i “vecchi” passano ai reparti dell’ospedale o in altre stanze più tranquille. Arriva anche il mio turno, mi ritrovo in uno stanzone misto, uomini e donne, i letti sono separarti da divisori, qui ritrovo Antonio, il telefono può rimanere attivo per lui. Mi sistemano in uno spazio tra due donne. Accanto a sinistra ho una dolce nonnina di 91 anni, che non finirà di ringraziarmi solo per avergli alzato il cuscino. A destra una giovane asiatica che verrà trasferita quasi subito.  Non so come passare il tempo, non riesco a collegarmi al Wi-Fi e mi sento fuori dal mondo, forse è meglio così, con lo schifo di guerre che ci sono in giro, una pausa non mi farà che bene.  L’unica cosa che ti ravviva la giornata sono le telefonate di moglie, figlia, nipoti e amici. È grazie ad uno di questi che mi dice “Scrivi” che sto per la prima volta scrivendo su di un telefono. Passano le ore cambiano i turni, ne fanno tre al giorno, guardo gli infermieri, arrivano tutti sorridenti, allegri, riprendono le loro attività con una carica che da piacere a noi ospiti. Li rivedo a fine turno, stanchi, spossati, ripenso a quanto accaduto durante le ore del turno; certo che noi malati non siamo solo malati, molti ci portiamo appresso tutte le nostre stranezze e ce le sfoghiamo su di loro che non fanno altro che curarci seguendo le consegne nel migliore dei modi e con le maniere più appropriate. Li vedo così stanchi che il cambio per loro deve essere una benedizione. Se potessi li chiamerei tutti per nome e direi loro grazie, cento volte grazie per quello che fate.

Oggi 19/10 conosco meglio due mie vicine, al mio fianco una signora, ancora giovanile, è di Ciampino, con la quale ci scambiamo, prima, informazioni e poi si parla un po’ di tutto. L’altra alla sua destra, Giuseppina, è una vera sorpresa. Vive a Vitinia, ha 93 anni, una vitalità e il cervello di una quarantacinquenne. Allegra, vivace, racconta di tutto con una voce gagliarda, cantava da soprano in un coro, dice, e fino al giorno prima del ricovero camminava due ore al giorno. Tiene banco e rallegra l’acciaccata compagnia.

Sto smanettando su Facebook, che non funziona, riporta solo qual cosa dei giorni precedenti. Mi incuriosisce un titolo, leggo, parla di una maestra e di un alunno, leggo la storia e mi commuovo, (ho notato, più invecchio più aumentano questi momenti, forse sono diventato più sensibile) rimango qualche minuto pensieroso, sento dei singhiozzi, aguzzo le orecchie, è un uomo, piange disperato, da quello che sento non piange per dolori o per se stesso, ma sento parlare di situazione familiare e sento una voce gentile, amorosa che cerca di consolarlo, sono curioso. Mi alzo, allungo un poco la testa per vedere chi è. È un uomo di mezza età, al suo fianco un’infermiera che con dolcezza cerca di consolarlo, aumenta la mia commozione e penso a quell’infermiera, non so’ se anche questo rientra nei loro compiti, ma questo non fa altro che aumentare la mia ammirazione verso di loro.

Ma stiamo in un Prono soccorso ed a un certo punto verso le tredici sentiamo un forte trambusto. Vediamo medici e infermieri correre nel camerone a fianco al nostro, una paziente è in piena crisi, sono tutti al suo capezzale. Chi vede, dice che stanno facendo di tutto. Passa un po’ di tempo la signora non ce la fà. Si fa silenzio, gli addetti allontanano i pochi parenti rimasti in attesa dell’uscita. Durante la terapia il vociare si rianima e continua anche dopo quando si spengono le luci. Dal mio letto sento Giuseppina, fa salotto, parla e racconta episodi della sua vita, le vicine interloquiscono, chiedono e raccontano anch’esse, si ride e non si pensa ai problemi. Un vero salotto scacciapensieri. Qualcuno chiede silenzio e tutti tacciono. Torna il silenzio con il normale sottofondo fatto di flebili lamenti e richieste d’aiuto. Torna l’alba, anche se dalle nostre finestre non si vede nulla, la vita riprende, fuori e in corsia, purtroppo qui è un continuo ricambio di esseri umani c’è chi cambia reparto chi sale in ospedale chi parte per altri ospedali dove trova letti disponibili. Vengono a prendermi ora tocca ame, si sale al reparto. Usciamo dall’ascensore il primo effetto, un bagliore di luce, che sia di buon auspicio? Finestre ampie, si rivede il cielo e qualche albero. La stanza ottima, due letti lindi. Una sorpresa! L’altro letto è occupato da Antonio si quello di Sabaudia.   

Potrei seguitare il Diario, parlare delle mie giornate in reparto ma qui è tutto più bello, asettico e non ci sono contatti con altri malati salvo il tuo compagno di stanza e puoi raccontare poco, puoi seguire quello che succede solo dai rumori nei corridoi, dalle grida di qualche malato e dalle corse degli infermieri. Non è che non posso uscire dalla camera, anzi, è solo che sono spesso legato alla flebo e andare in giro è scomodo.

L’amico Antonio è tornato a casa, ci sentiremo, il suo posto è stato preso da Giorgio di Anzio, sta un po’ acciaccato ma anche lui è autosufficiente e possiamo parlare tranquillamente. Anche qui le infermiere/i sono deliziose/i e gentili. Sorridono e ammiccano e ci fanno i complimenti quando ci vedono passeggiare, sottobraccio lungo i corridoi, a me e Giuseppina. Si proprio lei quell’arzilla signora di 93 anni di cui ho parlato nel Pronto soccorso e che ho ritrovato qui in corsia.

 

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1 Commento

  1. maria
    maria Novembre 05, 20:02

    grazie infinite Tarquinio per questo tuo resoconto che ci rende partecipi di realtà difficili ma anche di competenze straordinarie e tanta, tanta umanità. auguri per una pronta ripresa a te e agli amici con cui hai condiviso momenti dolorosi ma anche benefici sia emozionalmente che per le considerazioni che se ne possono trarre.

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