Due meglio di uno
Leggendo Zone di turbolenza mi sono resa conto che molto spesso cediamo alle tentazioni del pensiero unico e univoco, proprio di ogni rinuncia all’immaginazione e di ogni fondamentalismo religioso, ideologico o politico. L’autore, Stefano Levi della Torre, intende la tradizione, nello specifico quella dei grandi testi, dalla Bibbia ebraica al Talmud, da Leopardi a Primo Levi, in modo “antitradizionale”, come traccia per risalire alle domande di fondo a cui ogni epoca è chiamata a rispondere.
Le idee false hanno una particolare attitudine a tradursi in realtà. Ad esempio l’idea che l’Occidente sia una cosa sola, abbia un’unica anima e possa riassumersi in un pensiero coerente e unificato; oppure l’idea che le società islamiche siano una cosa sola: che i palestinesi siano un tutt’uno col terrorismo o viceversa che gli ebrei siano tutt’uno con l’imperialismo. Queste sono idee false semplicemente perché ogni civiltà o popolo o gruppo umano in quanto viventi sono contraddittori, attraversati da continui conflitti ed antagonismi.
Le idee che fanno di qualcosa un tutt’uno sono quasi sempre false, ma il loro successo dipende dal fatto che rispondono alla nostra normale economia mentale e psichica, assetata di semplificazioni, di netti confini tra il bianco e il nero, tra il bene e il male, e renitente a cimentarsi con immagini troppo realistiche, quindi stratificate e di conseguenza più problematiche del mondo e della storia. C’è il bisogno narcisistico di una propria identità positiva, il bisogno di aver ragione. Nella sua forma elementare l’identità è un far tutt’uno di se stessi e del proprio gruppo di appartenenza… è bisogno e nostalgia delle “società tradizionali”; dalla speranza di cambiamento al narcisismo di gruppo, di etnia, di cultura. E quest’ultima, intesa come attitudine critica per il superamento dei condizionamenti sociali, assume un altro significato in senso antropologico, è intesa cioè come conferma e conservazione di mentalità sedimentate, di usi e di costumi. L’identità è l’abitare, l’abitudine ai propri luoghi, odori, lingua, forme mentali. I saggi raccolti in questo libro riguardano argomenti molto diversi, ma sono uniti nella critica alle impostazioni mentali che riducono all’uno, facendo di ogni cosa un’entità omogenea e immutabile; è il carattere intimo del fondamentalismo, religioso o profano che sia, nel suo significato più esteso.
Nel libro c’è una propensione invece per punti di vista capaci di cogliere le interferenze reciproche, le trasformazioni per cui le cose buone possono diventare cattive e le cose cattive buone. Modi di pensiero propri di grandi testi o di poeti: contro il pensiero dell’uno, il pensiero del due, della compresenza, del moltiplicarsi dei significati; il pensiero che, sdoppiatosi, si osserva pensare e prende coscienza critica di sé.
Nel libro la frase “una parola egli ha detto, due ne ho udite” (Sal. 62,12): la Parola unica si rifrange nel creato sdoppiandosi, è esemplificativa di come il concetto del due sia presente già nei testi antichi. Il due è il numero della relazione e della contesa, dell’instabilità, della scissione e allo stesso tempo del completamento. È la forma elementare del dubbio, dell’alternativa, del problema; è il numero del confronto, dell’accordo, della competizione. La dualità tiene insieme le alternative, poi bisogna decidere; ma come Giacobbe che lotta con l’angelo, e vince ma ne esce zoppo, così secondo saggezza ogni decisione non espelle, ma include la memoria dell’alternativa temporaneamente sconfitta
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