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Due importanti anniversari celebrati durante l’ VIII edizione del Velletri Wine Festival “Nicola Ferri”

Due importanti anniversari celebrati durante l’ VIII edizione del Velletri Wine Festival “Nicola Ferri”
Ottobre 03
14:24 2020

Due importanti anniversari celebrati durante l’ VIII edizione del Velletri Wine Festival “Nicola Ferri” che si chiuderà il prossimo 27 Ottobre

40° anniversario dell’uscita de “Arrivano i Bersaglieri” e 30°anniversario dell’uscita de “In nome del Popolo Sovrano”per la regia di Luigi Magni

Oltre che a Velletri, gli anniversari sono stati celebrati a Lucca dove venne girato Arrivano i Bersaglieri e a Roma al Teatro Ghione durante l’evento curato da Alessandra Kre per il XIII municipio di Roma Capitale

Nel 2020, si compiono due importanti anniversari, che ci permettono di tornare a parlare della filmografia del maestro romano, Luigi Magni. Mi riferisco al 40 anniversario dell’uscita nelle sale de “Arrivano i Bersaglieri” e il 30 anniversario dell’uscita de “In nome del popolo sovrano”. Sono due dei quattro capitoli del libro visivo che il maestro ha iniziato a scrivere nel 1968, poco dopo il suo esordio alla regia con Faustina. Magni, profondo conoscitore della storia romana e della romanità nella sua essenza più vera, che come diceva spesso la Signora Lucia Mirisola, faceva parte del suo dna ci racconta attraverso personaggi e fatti realmente accaduti mezzo secolo romano l’ultimo sotto il potere temporale del Papa. Inizia a raccontare con “Nell’anno del Signore” la Roma di papa Leone XII durante l’anno santo del 1825. Il popolo romano è vessato dai preti, non può e non deve opporsi al potere. Il malcontento lo esprime attraverso i pigrammi appesi alla statua di Pasquino alla quale da voce nel film Cornacchia un ciabattino che fingendosi analfabeta riesce a carpire notizie anche riservate negli ambienti del potere. Cornacchia è tollerato dal potere che finge di non vedere la sua frequentazione con Giuditta una ragazza ebrea costretta come tutti “i giudii” a vivere nel ghetto e a subire prediche coatte. Intanto però in una cantinaccia dietro il teatro Marcello cospirano Targhini e Montanari i carbonari decapitati a Piazza del Popolo il 23 Novembre 1825, dopo un processo senza se e senza ma condotto dal perfido Rivarola. Roma è triste, non parla, sta zitta, le osterie ormai sono solo luoghi di vendita, il vino si consuma per strada per ordine del Papa, che ha vietato anche la vaccinazione contro il vaiolo. Roma non parla ascolta in silenzio, stanca di vedere teste staccate e sentire il pianto straziante delle loro donne davanti al patibolo. Roma è il tema di Giuditta che Armando Trovajoli scrive per commentare musicalmente nel film l’esecuzione di Targhini e Montanari. Roma però insorge, circa vent’anni dopo, con l’assassinio di Pellegrino Rossi, Pio IX pur di non rinunciare al potere temporale fugge a Gaeta : “ Santità, non partite… il pastore non fugge ma muore per il suo gregge…” Con queste parole Padre Ugo Bassi dei Chierici regolari di San Paolo detti i Barnabiti cerca di far desistere il pontefice dal suo intento senza riuscirci. Ormai Roma è senza Papa e In nome del Popolo Sovrano viene proclamata la Repubblica Romana, destinata a durare poco. Magni tratta queste pagine di storia attraverso l’amore clandestino di Cristina Arquati (Elena Sofia Ricci) con Giovanni Livraghi un garibaldino ( Luca Barbareschi) con il quale condivide i pensieri di libertà della repubblica non avvezzi in casa Arquarti dove il marito Eufemio (Massimo Wertmuller) e il suocero l’anziano Marchese (Alberto Sordi) sono legati alle tradizioni papaline. Sullo sfondo personaggi come Gioacchino Belli che temono per la loro incolumità durante la Repubblica ma gioiscono all’ingresso dei francesi dopo la battaglia del Gianicolo. Battaglia con protagonista Angelo Brunetti Ciceruacchio interpretato da Nino Manfredi al quale Magni fa pronunciare un monologo che riassume tutta l’essenza del film : “Dice come te chiami Angelo Brunetti eccellenza detto ciceruacchio, gonfaloniere de campo marzio de professione carrettiere se sente da come parlo, dice, allora perché te impicciato te cose che non te riguardano, dico perché io so carrettiere e a tempo perso omo e l’omo se impiccia eccellenza di fatti ve garibaldi e dice famo l’Italia ed io che fo nun impiccio io so romano eccellenza ma ha tempo perso so italiano è colpa? Dice si   mo è colpa esse italiano no dice lui è colpa perché tu hai difeso l’anarchia e la rivoluzione ma no signore eccellenza io ho difeso roma il paese mio e le ce lo sa mejo de me. Ma come i francesi me pieno a cannonate ed io nun me impiccio non me riguarda, insomma eccellenza se annamo a stringne che avemo fatto de male , sta creatura manco a dillo ma io co fatto ho voluto bene a Roma. E be quando in qua l’amor de patria è diventato un delitto però se ne la legge vostra è un delitto voler bene al paese proprio allora io so corpevole anzi so reo confesso e mo offenderebbe pure se me rimandasse assorto. Per cui eccellenza spero che lei si sia appersuasa e così che me sembrate… oh ma me state a sentì spero che pure voi….” Alla fine gli ideali di libertà trionfano e Cristina ed Eufemio si arruolano per fare l’Italia, mentre a Roma torna il Papa.  Siamo alla fine ormai è l’anno 1867 a Roma vive un alto prelato Colombo da Priverno con il suo perpetuo Serafino. Il monsignore è un giudice della Sacra Consulta, stanco ormai e in crisi di coscienza detta la lettera di dimissione dagli incarichi al fido Serafino, sconvolto dalla strage compiuta dagli zuavi pontifici al Lanificio Ajani in Trastevere dove perì Giuditta Tavani Arquati: “Ma come… l’hanno scannata come ‘na capra, j’hanno infierito a baionettate sul cadavere, oh! Una donna di quarantadue anni, gravida, che te vie’ incontro col figlioletto al collo…” gli arriva in casa Flaminia una nobile romana ad implorarlo di intercedere per il figlio Cesare Costa arrestato con Monti e Tognetti per la bomba messa alla caserma Serristori per rappresaglia alla strage del lanificio. Colombo cerca di sfuggire alla richiesta fino a quando la donna non gli fa capire che Cesare era anche suo figlio, concepito durante una fredda notte della Repubblica Romana.  Allora il monsignore roso dalla coscienza cerca di salvarlo e ci riesce ma in tribunale nonostante una pesante arringa non salva gli altri che IN NOME DEL PAPA RE vengono decapitati.  Il film è a ragion veduta l’opera massima di Luigi Magni, come sceneggiatore e regista pluripremiato ha preso nel 1978 tre David di Donatello (andati rispettivamente a Luigi Magni come miglior sceneggiatore – a Nino Manfredi come migliore attore protagonista e a Franco Committeri come miglior produttore) quattro Nastri d’Argento (andati rispettivamente due a Lucia Mirisola come migliore scenografia e migliori costumi – uno a Nino Manfredi come migliore attore protagonista – uno a Carlo Bagno come migliore attore non protagonista) e una Grolla d’Oro assegnata a Bagno per la sua interpretazione del perpetuo Serafino.  Anche in questa sceneggiatura Magni lascia riflettere su quello che avverrà siamo a tre anni dalla breccia di Porta Pia, Don Colombo detta la lettera di dimissioni al suo perpetuo: “ Bande garibaldesche che battono il contado e la rivoluzione che, dentro e fori le mura,incalza a grido dissennato “ Roma o morte!” Serafino: Davero… ma che sarà tutta ‘ sta smania de piglià Roma… che se ne faranno,poi… Don Colombo: Gli Italiani? Ten’accorgerai…” Il racconto Gigi Magni lo chiude con Arrivano i Bersaglieri uscito nelle sale nel 1980. Si tratta di uno di quei titoli poco conosciuti della filmografia del maestro romano, ma estremamente importante nella storia della sua carriera. Ambientato nella giornata del 20 Settembre del 1870 vede come protagonista assoluto Ugo Tognazzi nei panni di Don Prospero un nobile passato agli ordini del Papa Pio IX dopo i moti del 48, convinto fino all’estremo sacrificio della difesa del trono e dell’altare. Le vicende vedono Tognazzi, ospitare nel suo palazzo un ufficiale degli Zuavi Pontifici rimasto ferito a Porta Pia Don Alfonso D’Aragona interpretato da Vittorio Mezzogiorno che non si vuole arrendere agli eserciti piemontesi e rinfaccia in un meraviglioso dialogo al Generale La Marmora interpretato da Mariano Regillo le crudeltà commesse nel sud d’Italia. A Porta Pia cade un giovane bersagliere Urbano ( Richy Tognazzi) figlio di Don Prospero, il quale viene a sapere della morte del figlio alla fine del film venendo colto da malore. Bellissima e significativa la sequenza finale, quando Ugo Tognazzi commenta l’ormai compiuta unità d’Italia con l’amarezza del passato: “  E se capisce… mò ve riconciliate pure… è naturale. Avete fatto l’Italia? Bravi … avete fatto un bel capolavoro…. Io vedo già cò l’occhi del trapassato e la vedo brutta pè st’ Italietta appena nata …. è nata male. E vedo guerre, persecuzioni di razza, imperi da burla … Roma ve darà alla testa …. Scambierete i corvi pè l’aquile e farete un disastro dopo l’altro …. dateme retta, buzzurri, finchè state in tempo … tornatevene a casa … e pure voi, fori … Ve piace l’Italia? Andate in Italia … fori da casa mia La breccia di Porta Pia, torna nel suo ultimo film “La Notte di Pasquino” ambientato a Roma nella notte tra il 19 e il 20 Settembre 1870, quando per ordine di un infido porporato viene rapito nel ghetto un bambino per battezzarlo coattamente e darlo ad una nobile famiglia romana senza eredi. Le vicende vedono protagonista un anziano personaggio (Nino Manfredi) che riesce ad evitare questo soppruso mentre la notte gira con il suo fido Toto (Fiorenzo Fiorentini) ad attaccare “pigrammi” alle statue parlanti di Roma. All’alba del 20 Settembre lascia su un acquasantiera un ombrello con il pigramma “Santità le regalo un ombrello. Santo nembo mi dirà a che mi vale? E se vien giù il temporale. Rivelandosi poi un cardinale si fa accompagnare dal papa per fargli compagnia perché il 20 Settembre 1870 sarà per lui una brutta giornata.

 

 

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