Dove sorgeva Albalonga?
Dove sorgeva Albalonga? Quella che sembra una domanda retorica, dà l’appiglio a tante ipotesi. Ce n’è una sorprendente e nuova. Nel 1968, lo studioso Alessandro Mastrigli scoprì, con fotografie radenti sulle pareti di peperino all’interno del convento di Palazzolo, alcune sculture rupestri raffiguranti simboli (anche orientali) quali la luna, il bue aggiogato e, soprattutto, i fasci romani e tre falli. Ma il ritrovamento dimostrò che taluni bassorilievi erano stati scalpellati, però non tanto da cancellarne la forma e la testimonianza. Si parlò subito dell’acropoli – o la necropoli – di Albalonga e la pubblicità fu tale da smuovere anche la televisione nazionale.
Che la mitica città-madre di Roma sorgesse intorno al Lago Albano, era ormai quasi cosa acquisita. Lo stesso Enzo Mormorale dell’Università di Roma, latinista di fama mondiale, asseriva che Palazzolo fosse la sede molto probabile dell’antica città, grazie alla ricchezza delle sorgenti. Ora, però, dopo studi di decenni, appare un’altra possibilità, da dimostrarsi, s’intende, ma da prendere in altrettanta considerazione. Si tratta di un’emozionante ipotesi portata avanti dal 1996, quando tre studiosi (Angelo Capri, Gianni Dolfi e Riccardo Bellucci), su basi d’interpretazioni storiche di testi e ricerche dirette sul territorio, pubblicarono un opuscolo in cui si diceva che la mitica madre di Roma sorgesse, con molta probabilità, sulla dorsale dell’Artemisio. La prima domanda che viene sulle labbra della gente è questa: Alba si specchiava in un lago, e ai Pratoni del Vivaro il lago non c’è. Lo studioso Riccardo Bellucci, che da solo ha proseguito, ampliato e verificato le ricerche – e non da adesso -, ci risponde mostrandoci una foto in cui, ancora negli anni trenta del secolo passato, un vasto lago esisteva dove oggi una strada asfaltata sega in due la bella valle dell’altopiano del Vivaro. Si chiamava Pantano della Doganella o Lago Regillo (ancora oggi c’è la fonte dell’Acqua Regilla). Però, Bellucci non si ferma a questo già importante motivo. Continua dicendo che le tracimazioni delle acque di cui parlano gli storici antichi, non si verificarono nel lago Albano, come si credeva (d’altronde, il costone dei Villini di Castel Gandolfo è integro e troppo alto dalla base dello specchio lacustre). Invece, sono bene evidenti le tracimazioni che solcano il pendio di Carchitti nella parte verso Palestrina, e c’è un’altra in direzione di Lariano, tuttora appellata il Vallone, che coincide con quello che ha scritto Dionigi di Alicarnasso parlando di “Aulon”. Inoltre, sul Maschio di Lariano, catena dell’Artemisio, sono state censite – afferma Bellucci – circa 84 tombe a camera; nulla di così notevole si è trovato sui Monti Albani, ma ciò non è stato mai notato perché le tombe stesse sono state trasformate in villaggio medievale. Una necropoli così vasta è solo per una città importante, non per un villaggio di pastori. Inoltre, c’è la misurazione delle distanze da Roma, di cui parla Strabone – prosegue il ricercatore Riccardo Bellucci – il quale scrive che Alba dista dalla città Eterna quanto da Ardea. Subito il giovane studioso si è messo in azione, misurando il chilometraggio che divide Roma da Ardea e dalla presunta Alba situata a Castel Gandolfo, sull’Appia, o ad Albano: le cifre divergevano per difetto in modo eclatante, sporgendosi oltre Ariccia. Invece, con esattezza matematica, la distanza percorsa sulla via Latina (più antica dell’Appia) porta sull’Artemisio. Molto di più direi – conclude Riccardo Bellucci -, ma siccome sta uscendo un mio libro in proposito, debbo fermarmi qui. Ipotesi suggestiva da prendere in considerazione, e – quando sono andata a visionare i luoghi descritti – sono rimasta affascinata e attratta dalla possibile ubicazione della nostra mitica Madre.
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