Dove sorgeva Alba Longa?
Intervista di Aldo Onorati a Riccardo Bellucci.
Alba Longa, mitica madre di Roma, descritta dagli storici e cantata dai poeti di ogni tempo e latitudine, fondata da Ascanio figlio di Enea fuggiti da Troia in fiamme, come dice Virgilio nella sua Eneide, non ha lasciato – sembra – vestigia archeologiche della sua esistenza, sempre che non escano fuori come è accaduto per Ilio scoperta dopo tremila anni circa. Dunque, la Mater Urbis, che ha affascinato per secoli e secoli la fantasia di tutti per la portata immensa dell’Impero Romano da essa disceso, pareva (prima dell’ipotesi di Riccardo Bellucci di cui parleremo in seguito) situata sui colli Albani, precisamente intorno al cratere vulcanico del lago omonimo. Le descrizioni delle antiche autorità fanno dedurre che, comunque, sorgesse vicino a un lago (quello Albano di Castel Gandolfo), ma sopraelevata tanto da guardare anche la pianura che sconfina al mar Tirreno. Per questo la più accreditata località, su un colle, è la odierna Albano. Taluni asseriscono invece che sorgesse su Palazzolo, sotto Monte Cavo, dove c’è abbondanza di acque. Altri, invece, la situano ancora su Prato Fabio, una gobba sottostante il Monte Cavo, priva di acqua e non difendibile dai nemici (ma lo vedremo a suo tempo). C’è pure chi pensa a Rocca di Papa, o alla dorsale che porta a Marino; altri sembrano propensi a sistemarla nell’odierna Castel Gandolfo. Insomma, siamo sempre sui bordi del cratere vulcanico albano. Si va per deduzione, senza prova alcuna di reperti concreti, tanto che qualcuno pensa trattarsi di un mito.
C’è però da dire che il vulcano albano, nella parte centrale, quella più giovane, eruttò fino a qualche secolo prima di Roma (ne parlano Tito Livio e Giulio Ossequente), per cui le ceneri e i blocchi di lava fusi potrebbero avere sepolto i resti dell’antica città.
A questo punto, nel lontano 1968, accadde un fatto sorprendente: lo studioso Alessandro Mastrigli, con l’ausilio di Guglielmo Pelami, fotografò con raggi all’infrarosso, all’interno del convento di Palazzolo, la rupe di peperino visibile anche dal di fuori delle mura claustrali e notò strane figure al “negativo”, cioè scalpellate per cancellazione, come sembra abbia fatto Tullo Ostilio quando ha azzerato ogni traccia di Alba Longa.
Ma dai contorni, sono usciti fuori dei fasci romani, un bue aggiogato, l’Orsa Maggiore e la Luna. Si è desunto trattarsi della necropoli di Alba Longa, e la notizia fece il giro del mondo, come, d’altronde, lo sta facendo la nuova ipotesi di Bellucci il cui libro è stato in questi giorni tradotto e pubblicato in lingua inglese.
Ma chi è Riccardo Bellucci? È nativo dei Colli Albani (1961), da decenni appassionato della storia dei luoghi a sud di Roma, dove si sviluppò l’antica Alba Longa. Fin da giovane, accanto agli studi, ha svolto un severo e continuo lavoro di ricerca archeologica seguendo l’intuizione secondo la quale Alba Longa non poteva sorgere sul cratere del lago Albano. Sono sue le scoperte delle “tombe a grotticelle” nelle alture albane, il “villaggio delle macine” ormai famoso nel mondo, ritenuto il più grande villaggio palafitticolo europeo, scoperto da Bellucci nelle acque del bacino albano, “villaggio protostorico” denominato “Il Castelliere” perché è circondato da un muro a secco di protezione, raro ed unico sui Monti in questione. Molte ed altre scoperte “fitticole” hanno portato alla ribalta lo studioso, il quale dichiara che tutte questi ritrovamenti sono venuti fuori grazie alla ricerca delle vestigie di Alba Longa. Per non andare per le lunghe, citiamo ancora il rinvenimento di un’immensa cisterna romana del tempo di Clodio, sotto Castel Gandolfo, e il porticciolo romano nel lago Albano (la notizia si ebbe nel 1986 e richiamò molti turisti e curiosi nonché appassionati da ogni parte). Bisogna dire, a onore di Bellucci, che spesso egli ha dovuto lavorare e operare senza l’appoggio finanziario istituzionale, per cui egli ed il suo gruppo si sono sempre auto finanziati (ed ancora oggi). Ma poi è esploso il caso di Alba Longa e la sua nuova ubicazione, dopo trent’anni di ricerche e studi.
“Non solo ho operato sui luoghi, ma ho letto – ci dice Bellucci – tutti i testi antichi, medievali, contemporanei, fra cui le polemiche dei vari studiosi, le demolizioni reciproche fatte talvolta senza motivazioni sufficienti: tutto questo mi ha fornito un materiale vastissimo per comprendere che probabilmente si giocava con carte false”.
Ora dobbiamo descrivere i luoghi “albani” a sud di Roma. Come si vede nella cartina topografica qui riprodotta, oltre il Monte Cavo, verso Velletri, c’è la dorsale del monte Artemisio da nessuno presa in considerazione perché creduta fuori dei Colli Albani, mentre essa appartiene al contesto geografico in questione. Come potete vedere dalla cartina, c’è disegnato un grande lago (della Doganella), che è stato prosciugato nel 1929, dove ora c’è lo stradone del Vivaro. Detto questo, e conosciuto che il vertice del monte Artemisio è un lunghissimo altipiano largo 300 metri, quindi capace di ospitare una città, passiamo ad approfondire l’ipotesi, sentendo l’autore.
“Fra le tante cose scoperte sull’Artemisio, ne elenco qualcuna importante. Ho trovato una gigantesca necropoli formata da circa cento tombe a camera che non ho rinvenuto negli altri luoghi candidati a sede di Alba. Ho censito più di 21 sorgenti in quota, che a Castel Gandolfo non ci sono, essendo luogo siccitoso come Prato Fabio.
L’Artemisio è un luogo ben difendibile, mentre gli altri o sono sotto il monte Cavo o quasi in pianura e senza possibilità di difesa”: questo afferma Bellucci aggiungendo che nessuno tiene conto che fino a 80 anni fa un lago gigantesco spaziava dove oggi c’è la valle del Vivaro.
Il suo libro “Alba Longa: studi e ricerche sull’ubicazione della madre di Roma”, uscito nel 2015, fece scalpore, tanto che oggi è nelle librerie straniere in lingua inglese: “Alba Longa: Studies and Research on the location of the Mother of Rome”, tradotto da Barbara e Tony Pitt. Le indicazioni degli storici antichi, studiate al millimetro da Bellucci in decenni di paziente e scrupolosa operazione, tornano per suffragare la nuova sconvolgente ipotesi che la madre di Roma sorgesse non sul cratere Albano ma sulla costa dell’Artemisio o addirittura sul pianoro che sta a circa 900 metri di altitudine e dalla parte ovest digrada verso il mare in una pianura fertile. D’altronde, sono d’accordo con Bellucci sul significato di Alba, che non vuol dire “bianca”, ma “montagna”, essendo una deformazione semantica di “alpes”, come dichiarava il grande filologo latinista Enzo V. Mormorale. Comunque, diamo la parola di nuovo al ricercatore: “Tutto torna, perché le indicazioni degli storici antichi Dionisio di Alicarnasso, Strabone, Livio, Plinio il Vecchio etc. collimano con la mia ipotesi. La vera distanza di Alba Longa da Roma la indica Strabone ed io ho misurato puntigliosamente i chilometri.
È uscito fuori che il percorso della via Latina porta a Monte Artemisio, che, diversamente da quanto si crede, ha una lunga cima piatta (ecco il significato di Alba Longa: altipiano), larga circa 300 metri per tutto il percorso del giogo montano.
Gli autori antichi descrivevano la veduta della città madre dell’Urbe come un giogo, infatti. E tale incurvatura particolare la presenta solo la catena dell’Artemisio.
Inoltre, le tracimazioni lacustri hanno lasciato profondi segni, che non ci sono nel lago Albano. E l’acqua, senza la quale nessuna civiltà può nascere, era ed è abbondante in questi luoghi…”
“Chiedo scusa se interrompo, ma di che si tratta riguardo alle tracimazioni?”
“Le testimonianze a nostra disposizione (lettere, libri, citazioni etc. degli antichi) parlano che il lago sul quale sorgeva Alba Longa tracimò più volte, e questo è possibile che sia avvenuto nel vasto specchio lacustre della Doganella, non in quello Albano, perché non solo non ci sono segni, cioè scanalature, ma il livello delle acque normalmente è di almeno 150 metri sotto il ciglione più basso, quello che guarda Roma. Continuando il discorso, bisogna tener presente che ogni agglomerato urbano sorgeva in luoghi difendibili perché alti, ad esempio un cucuzzolo, una collina, un monte. A livello militare la nuova ubicazione presenta tutti i requisiti per accogliere una città, cosa impossibile a Palazzolo, ad esempio, in quanto esso è situato sotto il Monte Cavo e quindi è indifeso. Prato Fabio, poi, è ridicolo pensarlo come sede di una città, sia per la mancanza di acqua sia per ristrettezza dell’area abitabile. Chi pone l’antica Alba in luoghi limitrofi a questi menzionati ora, non tiene conto che manca il territorio vitale per una città capoluogo del Latium Vetus. Infine, la parola Albano derivante da Alba, non si localizza solo in un paese, ma prende la zona di tutti i Colli Albani, per cui sia l’Artemisio che il Faete e lo stesso Monte Cavo rientrano nell’area dei Monti Albani. Bisogna tener presente che una città, specie se capitale, sorgeva sempre, secoli e secoli prima di Cristo, dove era possibile dominare con la vista un orizzonte di 360° e poteva – anzi doveva – essere vista dai popoli dipendenti (Plinio il Vecchio afferma che esistevano 53 realtà fra popoli e paesi).”
Il successo dell’intuizione di Riccardo Bellucci ha riaperto una polemica secolare che sembrava sopita. Bene così: solo dallo scontro delle idee può venir fuori la verità!
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