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Dove la battaglia infuria

Gennaio 26
15:08 2011

“Mi faccio qualche canna, cosa vuoi che sia, tanto lo fanno tutti, mica mi faccio di coca”. Questa la lezione che siamo stati bravi a imparare, i mezzi di informazione divulgano dati e percentuali denudati dei segnali di allarme, la vulgata afferra a due mani il rischio per farne bandiera. Tutto ciò accade nell’indifferenza del mondo adulto che dovrebbe essere protagonista del cambiamento su questo ring di colpi proibiti, invece risulta uno sparring partner di basso profilo, che soccombe agli studi di parte, alle ricerche smozzicate, alle adunate in onore degli innumerevoli Peter Pan.
Droga che non fa passi indietro, non fa sconti a nessuno, non risparmia occhi innocenti né lupi dal pelo folto. Droga di ogni tipo, di ogni forma, per addomesticare la volontà, droga che fa male, tutta, senza eccezioni, e ancora meno accezioni da inventare a misura per meglio logorare resistenze, dubbi e perplessità. Lo scontro è ideologico, politico, di facciata, come fosse un problema che è possibile dilatare, rallentare, postdatare a piacimento, è droga che non concede metri al caso, all’accidente dietro l’angolo, è droga che ti mette sotto, e spesso non ti fa rialzare. A scuola, al pub, in discoteca, non c’è possibilità di sbagliare, di essere fraintesi, di non capire quanto è corposa la richiesta di “roba”, mischiata a un bel po’ di alcol, somiglia alla consumazione di un prodotto affettivo, qualcosa che è divenuto importante compagno di viaggio senza la cui presenza viene meno ogni entusiasmo.
E’ droga da “calare” senza badare alla legalità sbeffeggiata, alla salute che quando c’è, è inscalfibile, alla vita scolata tutta in un bicchiere, è droga che non porta mediazione. I ragazzi non hanno paura delle parole, delle minacce, delle prediche di alto bordo, perché percepiscono la prostituzione fraudolenta di un certo mondo adulto, timoroso al punto da risultare incapace di incidere, di fare la cosa giusta, capace di un intervento autorevole, rigoroso, non più rinviabile. La droga c’è, aumenta il suo consumo, ma se ne parla sempre meno, di mafie dislocate qua e là un po’ di più, se ne discute, se ne prende atto, si circoscrivono le alleanze, le misure, le quantità, il malaffare, eppure la “roba” circola, incrocia le menti, trasforma nuove identità, falsifica passaporti per un ipotetico mondo dall’altra parte della strada, e attraversare al buio diventa la regola per non avere più paura di vivere.
Droga che non conosciamo, ma tutto si svolge alla luce del sole, si vende e si compra a ogni angolo di città, di periferia, nell’indifferenza a vedere oltre la solita tv extraterreste, eppure genitori, adulti, educatori, sanno bene quanto la droga sia la più grande delle bugie, e non sia più rinviabile l’onere del proprio ruolo di tutore del bene, per affrontare a viso aperto la difficoltà a dare e fare rispettare alcune regole, non tante e incomprensibili, ma poche, chiare e dirette, vere e proprie salvavita.
Forse è il caso di affidare meno denari alla cartellonistica che non arriva al cuore del problema, tanto meno al cuore dei ragazzi in preda al panico. Forse è necessario recarsi dove infuria la battaglia, dove gli occhi ridono intontiti, le gambe barcollano e le mani tremano, forse è il momento di incontrare davvero chi è in difficoltà, e incontrarlo significa faticare, impegnarsi, soprattutto conquistare-custodire amore per la giustizia, unica possibile solidarietà per ogni persona.

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