Dopo il ‘no’ di Mattarella
Il compromesso al ribasso su cui infine si erano incontrati M5s e Lega, presentando una figura abbastanza ignota ed improbabile di presidente del consiglio, non ha raggiunto lo scopo di costituire insieme un governo comunque fosse, essendosi proclamandosi entrambi vincitori delle elezioni (ma M5s col 32% e la Lega col 18%!).
Il fatto di essere ‘caduti’ sulla scelta di un ministro che una delle due parti politiche ha (chiaramente) voluto imporre all’altra (che comunque ha accettato!) indica che il Movimento Cinquestelle che sembrava essere più ‘malleabile’ si è adeguato all’intransigenza leghista.
Il che potrebbe fargli perdere simpatie da quella parte insoddisfatta dell’elettorato che lo aveva votato alle ultime elezioni. Anzi qualcuno potrebbe passare direttamente alla Lega che certamente guadagnerà voti da destra (e sicuramente Fratelli d’Italia si ridurrà ancora di più non essendo più in grado di andare a destra più di Salvini!)
La posizione di Berlusconi attualmente è quella di giocare su due campi: da una parte votare la non fiducia a Cottarelli per evitare un ‘Nazareno parlamentare’ e dall’altra assicurare gli alleati di volersi ripresentare con la coalizione di centro-destra (non per guadagnare voti che anzi forse diminuirà ulteriormente ma) nella speranza che, vincendo con la coalizione, lui potrebbe proporsi ancora come l’ago della bilancia.
In quanto alle piccole forze di contorno, soprattutto a sinistra, sarebbe il caso non si presentassero proprio, per non soffrire l’ennesimo smacco non avendo capito due fatti evidenti da tempo: che da un lato una sinistra divisa perde, e dall’altro che l’elettorato ha dimostrato nell’ultimo decennio che un certo tipo di sinistra (da Rifondazione in poi…) ha fatto il suo tempo.
In quanto al PD, in questi anni non è stato in grado di essere riferimento anzitutto per le aree plurali (già cattolico-liberale-socialista o quel che ne resta) tanto più che alcune di queste aree hanno perso punti fermi di evidente identificazione. Ma il PD non è risultato credibile soprattutto per le categorie più marginali. Il ‘partito’ ha tradito un po’ tutti e, sul piano delle ‘ripartizioni’ di incarichi (governo e partito), non ha avuto nemmeno la lungimiranza di applicare quello che nella DC era il vecchio ma efficace ‘manuale Cencelli’ col quale almeno la distribuzione dei ‘posti’ era proporzionale a tutte le componenti del partito!
Ora con l’avvicinarsi delle elezioni (che con ogni probabilità porteranno a toccare il più elevato astensionismo dopo il quasi 30% delle ultime), un eventuale rinnovamento profondo del partito resta problematico, non perché non lo si possa tentare ma per il fatto che nonostante le profonde diversità di vedute nel PD, questo non può che dover necessariamente presentarsi come una forza compatta e coesa. Perché non si vorrà lasciare il Paese in mano a questo tipo di destre.
E tuttavia per un cammino verso un eventuale (e comunque indispensabile) rinnovamento, si dovrebbe ripartire dalle realtà locali del partito (dove il renzismo ha praticamente da tempo escluso – o estromesso o ‘rottamato’ come si preferisce – gli apporti delle minoranze e precluso l‘ingresso a nuove forze popolari, intellettuali, competenze, ecc.
In quanto alle prossime elezioni, comunque il PD dovrà fare di tutto per ‘recuperare’ quanti sono stati a suo tempo estromessi dalle liste elettorali (per far posto agli esponenti graditi al ‘cerchio magico’!) e per questo, anche dentro il partito, non si può non ridare un ruolo di rilievo a quanti anche in parlamento hanno pur lavorato con abnegazione e senza la ribalta massmediale. In questa prospettiva occorre dare spazio e visibilità anche a quell’area cattolico-democratica che nella passata legislatura ha pur offerto un apporto notevole e tuttavia ignorato, mentre da adesso e fino alle prossime elezioni (e oltre), c’è l’urgenza di riprendere in mano il metodo, le scelte e gli obiettivi ‘ulivisti’ – sia pur con nuovi protagonisti – che erano stati il collante per cui anche il PD aveva potuto giustificare la sua esistenza.
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