Django Unchained vs. Exiled. Stragi culturali
Prendiamo due film che ho visto questa settimana: Django Unchained (uscito a dicembre in America) e Exiled (presentato al Festival di Venezia nel 2006). Il primo è americano; il secondo di Hong Kong. In entrambi si sparano più o meno lo stesso numero di proiettili: tanti da non poterli contare. Il parallelismo tra questi due film è interessante per osservare la matrice culturale a fondo delle due storie infarcite di proiettili vaganti come confetti da cerimonia.
In Django Unchained di Quentin Tarantino si ha una concezione culturale americana, che nulla ha a che vedere con lo spaghetti western da cui è ispirato (Django di Sergio Corbucci, del 1966). C’è una cultura del diritto di uccidere in America che poggia sulle leggi, e c’è, accanto, una cultura della violenza senza regole di stampo patriarcale, ma non per questo feudale. Essa è raffigurata in modo formidabile da Mark Twain in Huckeberry Finn, dove si incarna nella faida tra i Grangerford e gli Shepherdson, che non ricordano chi la cominciò, ma finiscono per sterminarsi a vicenda.
Nel film di Tarantino il cacciatore di taglie Christoph Waltz (semplifico indicando il nome degli attori) uccide spietatamente una miriade di personaggi: è nel diritto di farlo. Il diritto si fonda sul fatto che chi punti un’arma contro qualcuno, anche senza sparare, o chi sia ricercato vivo o morto, può essere ucciso da quel qualcuno senza che questi infranga la legge. Si noterà che nel film Waltz non spara mai senza che qualcuno gli punti un’arma contro o minacci di uccidere qualcun altro puntandogliela contro. E si noterà che Tarantino insiste con scene nelle quali Waltz uccide e alza le mani, chiedendo che non gli sparino poiché lui è un tutore della legge, con tanto di carte scritte da mostrare, ossia leggi e decreti scritti. Ma Waltz non è americano: è tedesco. E Jamie Foxx, lo schiavo nero affrancato, sottolinea questo limite del primo, quando dice, per esempio, a Leonardo Di Caprio di non essere rimasto, a differenza di Waltz, impressionato dalla visione di una persona sbranata; il motivo con il quale Foxx spiega la propria impassibilità di fronte a quell’orrore è: sono abituato agli americani, non al fatto di vedere gente sbranata dai cani.
C’è quindi un’altra cultura americana, ben sottolineata da Tarantino, che è quella dell’infrangere le regole, di farsi giustizia da soli. Negli Usa non è mai esistito il «codice d’onore», tipico della nobiltà europea. In America si può essere una brava persona, ma non credo che il concetto di onore sia qualcosa di simile a come lo si intende in Europa. Onore in America significa soprattutto essere coraggioso, essere un eroe, mentre da noi significa onorare i patti tra le parti e rispettare alcune regole condivise nel proprio ambiente.
Di questa sua carenza interpretativa l’europeo Waltz se ne accorge a proprie spese: dopo aver sparato a Di Caprio alza le braccia, anziché sparare all’uomo col fucile, poiché quest’ultimo non avrebbe potuto sparagli senza commettere un grave reato, visto che l’uccisione di Di Caprio era formalmente corretta. Di fatto, Waltz non rivolge l’arma contro la guardia del corpo di Di Caprio per uccidere anche lui, nonostante questi abbia un fucile puntato contro Kerry Washington: il suo capo è morto, e questi non può eseguire un ordine non impartito. Di là da questioni psicologiche che motivano la rassegnazione di Waltz, egli è convinto di essere nel giusto, come ha fatto tante altre volte dopo aver freddato dei ricercati.
La banda di Di Caprio continua nell’illegalità basata sulla forza, arrivando illegalmente a vendere Foxx ad una compagnia mineraria, oltre a commettere tante altre atrocità. Foxx conosce le regole della società americana e adotta lo stesso sistema, un sistema fatto sì di regole scritte (Tarantino lo sottolinea facendo recuperare a Foxx il contratto di vendita della moglie), ma anche «senza regole», un sistema sociale spietato, vendicativo, ed è lui, Foxx, il più forte. Se sei più forte vinci in America: questo è il senso del film di Tarantino e di molti film che ci vengono da Hollywood.
Exiled è diverso. È fatto di continui riferimenti a codici non scritti. I protagonisti sono dei sicari, una banda che sembra, per come si comporta, più una squadra speciale di polizia che un gruppo di malviventi. Di fatto la polizia è anch’essa assoggettata ai boss della malavita. Quando al capobanda viene ordinato di uccidere uno di loro, non lo freddano alle spalle, gli lasciano prendere e caricare una rivoltella, tolgono i proiettili dalle proprie semiautomatiche in modo da avere lo stesso numero di proiettili di lui, si sparano a vicenda, sentono il pianto del figlio dell’uomo da uccidere e decidono che non è il caso di proseguire, ma di mettersi seduti e scambiare qualche parola. Nonostante si sparino in continuazione, occorre quasi la metà del film prima che muoia qualcuno. Quando uno di loro rimane gravemente ferito, lo recuperano a costo delle proprie vite. Quando la moglie di uno di loro gli scarica addosso un’intera rivoltella, scappano, perché ha ragione ad arrabbiarsi, anche se con le persone sbagliate. Quando la donna viene rapita, non gli importa nulla di essere diventati dei milionari, ma vanno a recuperarla offrendo i loro lingotti d’oro al boss per evitare uno scontro armato.
I loro avversari della mala, anziché freddarli in un’imboscata, anch’essi seguono delle regole. Ci sono dei codici. Tali codici sono delle tessiture, dei rapporti di forza collettivi, nessuno è il Lone Ranger, il giustiziere o l’uomo solitario dell’individualismo made in USA. Exiled è più uno spaghetti western dell’Estremo Oriente (mi si lasci passare l’ossimoro) di quanto lo sia Django Unchained. Non è un caso che Hong Kong abbia una radice storica più simile agli stati europei che al Nuovo Continente.
In questi giorni, dopo la strage di Newtown, un distretto scolastico della California ha speso 14mila dollari per un nuovo tipo di fucile semiautomatico da usare in difesa delle scuole. Se hai diritto di ammazzare, ammazza: questo è il tipo di cultura che sta facendo piangere parecchie famiglie americane. E non è colpa dei film americani se questa è la cultura americana riguardo all’uso delle armi da fuoco: non più, almeno, di quanto sia colpa dello specchio se ti riflette la chioma scompigliata al mattino. È proprio un male grosso, soprattutto da quando tale cultura si è diffusa a livello globale dopo la fine della Guerra Fredda, ammazzando i nemici secondo il diritto del più forte e non volendo sottoscrivere i trattati internazionali in materia di crimini di guerra. Prima, durante la Guerra Fredda, si ammazzava spietatamente gli innocenti, ma di nascosto, giammai alla luce del sole. Ora si chiama difesa nazionale, lo stesso motivo per cui la Costituzione americana permette ai cittadini di comprarsi le più micidiali ed efficienti armi da fuoco.
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