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Disfunzioni

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Gennaio 03
22:37 2012

pallotta-disfunzioniCon “Disfunzioni”, ottavo libro di poesia di Marco Onofrio, siamo di fronte ad un moderno “Don Chisciotte” o, se si vuole, “Don Sognatore”, o “Don Combattivo”. Lancia in resta, l’autore esprime nei sette tambureggianti poemetti che compongono il testo la “sua” verità. In questo caso l’insieme delle verità si addiziona e forma una sorta di versione aggiornata dei quattro “novissimi” (morte, giudizio, inferno e paradiso) e delle tre virtù teologali (fede, speranza e carità), mantenendo l’indirizzo e la magia capaci di rappresentare la realtà spogliata di ogni mistero, sviscerata senza indugi, urlata con certezza, e pure mai pacificata, mai catartica.

La lettura dei precedenti testi poetici di Onofrio ci rende partecipi del suo cammino artistico, aiutandoci a interpretarlo come una “via maestra” irta di difficoltà, di canti d’amore, di solitudine, di amarezza, ma anche di immagini traboccanti luci e colori prismatici, come vettori diretti verso strade asfaltate o bianche, costellate di bivi. Questo nuovo libro di Onofrio segna un incontro-scontro tangibile di energie che attraversa, nell’astrazione distillata della parola, i molti ponti della materia, della concretezza, con un tracciato prospettico che consente di vedere le cose da angolazioni del tutto insolite. La prima parte di “Disfunzioni” rappresenta la fuga simbolica da un palazzo, descritta con lenti d’ingrandimento tenebrose che cercano il vuoto. Il timore di affrontare il “nuovo” e lasciare il sicuro è trasparente; ma quale il sicuro? cosa il certo? L’autore scava e trova assenze che guardano davanti e dietro di sé, assenze che lasciano spazio al crollo dei valori umani, vissuti interiormente, tanto da desiderare un nascondiglio sicuro, la valva di una conchiglia. Ascoltare le mutilazioni dell’anima non significa evadere da una forma qualsivoglia di “impegno”, altro nome dato alla verità, quanto piuttosto attraversare sino in fondo lo sfinimento della crisi, sotto un fuoco di domande che martellano, pur non togliendo al poeta uno spiraglio di forza combattiva. Le immagini della “crisi” sono fosche o invisibili, sospese in aria o soffocate da un baratro sconosciuto. L’importanza del vuoto è parte integrante di Onofrio: sostiene il desiderio di distruggere tutto per trovare un punto da cui rinascere. Il diagramma dei “corsi e ricorsi” della storia segna il percorso ondivago dello sguardo di Onofrio, la sua incapacità di accettare una realtà da lui accusata di falsità manifeste. Vaghi e nebulosi sono i momenti di ritorno alla speranza, che però ricade tra le caligini della follia. Per questo la visione si apre sui deportati, “i mille nessuno, gli uomini usurpati”, pigiati dentro un vagone, in viaggio verso il comune destino di morte, di insignificanza. Non manca, nel dissidio interiore di Onofrio, lo sguardo di riprovazione etica per certi rappresentanti dell’Autorità costituita, ad ogni livello delle sue Istituzioni (Chiesa compresa), e per le posizioni indebite che vengono occupate da personaggi spesso poco consoni al “seggio” che difendono con forza, solo perché garantisce loro privilegi e potere. E allora è un profluvio di ironia, di sarcasmo, di iperboli parodistiche. Le denunce si scagliano come frecce acuminate contro i personaggi dell’Intermezzo, tra motti partoriti da una fantasia fervida, al calor bianco, fino alla noncuranza di chi si associa banalmente, rimasticando il “si dice”, con superficialità… “Ma sì, dài,/ ma che te frega…/ Clap, clap, clapclap”. L’autore non risparmia dai suoi strali l’invadenza tecnologica dei nostri giorni, già elemento proteiforme e inafferrabile, benché strumento necessario per la comunicazione di ciò che non sappiamo e forse non abbiamo più da dire. Il mondo, secondo la visione apocalittica di Onofrio, è stato privato d’ogni valore dagli stessi uomini. Siamo noi i colpevoli, noi che non abbiamo saputo fare da perno ad alcuna ricucitura umana, ad alcuna riparazione. Non esistono le luci dell’avvento: anche quelle sono state spente da noi. La voce del poeta Marco Onofrio è unica e, al contempo, rappresenta l’ordito e lo schermo di un coro unanime. Il suo messaggio è partecipativo e coinvolgente, al punto che dovrebbe scuotere il pensiero di chi non vede o volutamente ignora, nascondendosi dietro maschere e apparenze.

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