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Diritto allo studio. Innovativa esperienza di note applicazioni pedagogiche a Marino. Le spiega il dirigente prof. Giuseppe di Vico

Gennaio 09
17:49 2015

. Questa parte della Costituzione della Repubblica italiana, contiene due capisaldi inscindibili: da un lato mette nelle mani di bambini e bambine, ragazzi e ragazze e delle loro famiglie un diritto fondamentale. Quello della istruzione che costituzionalmente diventa loro diritto e loro dovere. Dall’altro lato affida allo Stato e alle sue diverse articolazioni il compito di adempiere a quel diritto-dovere con riguardo anche alla eliminazione eventuale di diseguaglianza sociale, quando questa fosse di ostacolo al raggiungimento della realizzazione del diritto-dovere all’istruzione. Occorre dire che, nel tempo, dal 1968 in poi, una copiosa attività legislativa e, in particolare con l’attivazione delle Regioni, il dettato costituzionale che riassumiamo nel concetto di Diritto allo Studio, si è anche realizzata in senso ampio ed esteso per far accedere una quantità maggiore di studenti all’accesso della scuola secondaria e dell’università. Per restare al nostro interesse specifico di questa esperienza marinese che qui illustriamo con una ampia intervista al Dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo Marino centro, prof. Giuseppe Di Vico, il diritto allo studio, con una attenzione, con una cura ad includere e comprendere proprio la parte socio-culturale dell’adempimento del dettato costituzionale è quanto salta agli occhi delle scelte di questo ICM dirigente e corpo docente tutto. Infatti, la scelta del “modulo” per attivare quelle tecniche pedagogiche di perequazione tra gli studenti che hanno maggiore disponibilità ad apprendere, rispetto ad altri che ne hanno meno; offre proprio la cifra dell’impegno dei docenti che, seppur chiamati ad una linea di applicazione dell’apprendimento non totalmente innovativo, lo diventa qui dato che non era ormai adottato da molti anni. La scelta migliore di tale attività, poi, si rintraccia anche nella meticolosità di non destinare fondi (che del resto coi tagli dal Governo centrale non ci sono) a questa applicazione di insegnamento, e, senza neppure farla calare sulle spalle degli insegnanti. Precisamente, con un impegno qualitativamente maggiore, ma senza variazione diretta nell’impegno orario scolastico, tutti i docenti (ed i non docenti) si sono fatti carico di questa innovazione che da marzo a giugno dovrebbe portare a frutti positivi nell’innalzamento del risultato didattico degli studenti.
D. Professor Di Vico, la finalità socio-culturale dell’obiettivo di questa innovazione che ha messo al centro la crescita armonica degli studenti, viene contestata da qualcuno. Perché?
R. Vedo che nelle scorse settimane, nonostante la nostra cura a spiegare a tutti i genitori in cosa consista questa innovazione, ci sono state due posizioni critiche. Da un lato qualche genitore che, banalizzando l’insieme della proposta didattica, riducendola al solo problema di cambio di orario per un brevissimo periodo (una settimana in cui si anticipa l’uscita – per consentire un aggravio minore sul lavoro degli studenti che, appunto, in seguito verranno sottoposti ad uno stress maggiore- la media uscirà alle 11,00 la primaria e infanzia alle 13 e 15); ma ovviamente non può essere questo il parametro per giudicare il contenuto che è quello di offrire “concretamente e veramente” ad ogni singolo studente la possibilità di crescere con i gruppi di modulo qualora fosse indietro nell’apprendimento. Dall’altro lato c’è stata una posizione critica che non so se sia stata sollecitata da qualche genitore o se sia nata spontaneamente, che, di fatto, ha mosso un oggettivo attacco, palesemente di natura politica, senza conoscere alla fonte ( a noi non sono venute richieste, fino ad oggi, circa il merito di queste nostre novità didattiche) di che cosa si stia parlando.
D. Ma, professore, da un punto di vista pratico, il genitore che preferiva l’uscita non anticipata, se in ipotesi fosse stato il papà o la mamma di uno studente che aveva necessità di recuperare perché indietro nell’apprendimento, non poteva adottare un altro strumento?
R. Tecnicamente si. Fino ad ora, infatti, molti studenti che si fossero trovati nelle condizioni di dover colmare lacune di apprendimento, sono ricorsi, tramite le loro famiglie, o tramite l’aiuto esterno (ragazze e ragazzi, o docenti che “danno ripetizioni” in periodo dell’anno) per provvedere a questa necessità. Risultato: non tutti i ragazzi e le ragazze sono risultati in grado di apprendere con efficacia e, quindi, non hanno raggiunto gli obiettivi sperati. Tra l’altro con impegno diretto dei genitori – quando tempo e capacità l’hanno consentito – o tramite l’esborso di denaro per pagare le ripetizioni. A questo vero e proprio gap sociale e culturale, noi abbiamo cercato di rispondere con la proposta attiva dei docenti (che hanno il vantaggio di conoscere gli studenti e le tecniche di modulo pedagogico) e con un diretto risparmio di denaro per le famiglie che si fossero trovate in queste condizioni.
D. Però, prof. Di Vico, se ci sono studenti che hanno problemi di apprendimento e viene sperimentata questa innovazione qui a Marino, gli altri studenti, che hanno già conseguito il proprio traguardo, che fanno? Aspettano oziando?
R. La ringrazio per il quesito perché mi permette di chiarire un aspetto non secondario proprio del funzionamento del modulo. Infatti, se pensiamo ad un funzionamento quotidiano di una classe tipo, noi abbiamo l’impegno del corpo docente a seguire tre o quattro fasce di capacità di apprendimento. E, se dovessimo ripetere questa attività, magari con maggiore intensità durante questa esperienza, ci troveremmo a moltiplicare i problemi non a risolverli. Invece, il modulo ci consente, per un breve periodo di tempo, di intercambiare la partecipazione degli studenti, facendo in modo che intanto che si raggiunge un livello di apprendimento medio da parte di chi ha avuto necessità di compensare; un altro modulo può spingersi al miglioramento di maggiori standard e perfino a raggiungere eccellenze perché non saranno chiamati ad oziare e stare fermi. Di modo che, alla fine della breve esperienza, risulterà che nessuno resterà indietro nell’apprendimento e, qualcuno potrà anche mostrare attitudini di particolare rilievo.
D. Quindi, pur basandovi su esperienze già note, e su teorie divenute pratica, da Piaget al prof Gaetano Domenici (Teorie e tecniche dell’orientamento formativo), è chiaro che una volta messa in campo l’esperienza che andrete a realizzare sarà un unicum. In che modo la valuterete e ne farete oggetto di contaminazione?
R. Si, in effetti, la nostra esperienza, a partire dalle teorie apprezzatissime del Prof Domenici dell’Università Roma Tre, ci dovrà vedere, scientificamente ed asetticamente in grado di fare due operazioni: la prima è una valutazione oggettiva che dovrà misurare il lavoro svolto dai moduli da un punto di vista del risultato sugli studenti; la seconda è, sperando e intuendo che sia positiva, redigere apposita documentazione utile per altre realtà e per la stessa amministrazione ministeriale. Certo che, se dovesse giungere un discreto successo, favoriremmo la conoscenza di quanto raggiunto, divulgando, anche in altri modi extrascolastici, tutto il percorso svolto. Si possono pensare interventi su riviste specializzate o anche una pubblicazione libraria.
D. Ultimo quesito: a questo punto, con l’avvio alle porte dei moduli, l’amarezza di quelle critiche iniziali, che hanno riguardato anche l’uso delle tecnologie in classe, sono un po’ superate?
R. Beh, l’amarezza resta per la superficialità dimostrata da chi è voluto intervenire senza cognizione diretta. Altri sono venuti a chiedere e siamo stati ben felici di rispondere a domande, ad ammettere noi per primi la possibilità di aggiustamenti in corsa. Sapendo che abbiamo a che fare con dei bambini e ragazzi, con personalità in formazione, dove la regola prima di tutti dovrebbe essere “nessuna strumentalità” ma solo il bene dei ragazzi. Del resto anche la critica sugli strumenti tecnologici (l’uso del digitale, LIM, internet ecc.) è abbastanza campata in aria. In primo luogo perché, nella mia esperienza personale – vengo da Roma città – assicuro i lettori che una dotazione così nutrita di strumenti tecnologici mette Marino al di sopra di molte realtà provinciali e romane. In secondo luogo perché se c’è un piccolo divario nell’uso didattico, forse non è per motivi attinenti gli strumenti, ma relativo ad una parte di corpo docente della scuola primaria che non ha piena padronanza di queste innovazioni. Cose superabili nel tempo.
Il telefono squilla ed il dirigente, prof Di Vico è chiamato, dopo questa ora trascorsa insieme, a rispondere alle incombenze della funzionalità di una scuola, quella di Marino centro.

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