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Diritto alla privacy: “…e io pago!”

Aprile 23
07:12 2010

Sembrava un diritto acquisito, nel nostro Paese, quello di non esser assillati dalle telefonate promozionali delle varie aziende che tentano di venderci qualcosa. E soprattutto dopo che il Garante per la Privacy, già nel 2003, si pronunciò al riguardo, dichiarando che nessun venditore può interpellarci senza il nostro consenso. Ma una nuova norma, prevista dal Ministero per lo Sviluppo Economico, arriva e rimette in discussione questo principio, istituendo un Registro delle Opposizioni che dovrà contenere l’elenco dei nominativi di coloro che – in maniera esplicita – dichiarino di non volere la pubblicità: e gli altri? Quale sarà il destino di chi non si oppone espressamente, entrando a far parte della lista? La creazione di tale registro, per quanto possa apparire singolare, è la risposta ad un’altra violazione: quella della direttiva europea per la tutela della privacy, per l’inosservanza della quale la Commissione Europea aveva denunciato l’Italia nei mesi scorsi. Come già ricordato da questo giornale, è in corso un iter per la messa in mora dell’Italia, che rischia la condanna al pagamento di una sanzione minima di 10 milioni di euro se il caso finirà davanti alla Corte di Giustizia di Strasburgo. Siamo infatti giunti alla seconda fase di un procedimento giudiziario che prevede la formulazione di un parere motivato dell’UE che spieghi come e perché l’art. 12 della direttiva 2002/58/CE sia stato violato. Era il 28 gennaio scorso quando la Commissione si pronunciò, dopo aver scoperto che alcune società italiane di call center avevano costruito i loro database prelevando i nominativi direttamente dagli elenchi telefonici pubblici senza chiedere il consenso degli interessati. In quell’occasione, con una lettera ufficiale, la Commissione Europea concesse all’Italia due mesi di tempo per rimettersi in regola con la legge. Ora che il tempo è scaduto, il governo risponde con questa specie di indice del “non disturbare”. Ma il fatto è che questo “scudo anti-pubblicità”, costringendoci ad assumere determinati comportamenti per poter funzionare (a inviare una mail o una raccomandata oppure a chiamare un numero verde per dichiararsi non consenzienti), appare piuttosto vessatorio nella forma. Come scrive Aldo Fontanarosa su ‘La Repubblica‘, il provvedimento «ha un difetto d´origine». Infatti, nel rispetto delle norme comunitarie, il governo «avrebbe potuto stabilire, cioè, che nessuna famiglia può essere disturbata se non ha dato il consenso a ricevere chiamate. Invece il regolamento ribalta le cose: per stare tranquille, le famiglie dovranno iscriversi al Registro». La direttiva 2002/58/CE, nel regolare il trattamento dei dati personali e la tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, ha richiesto ad ogni singolo Stato membro di individuare norme per l’utilizzo del cosiddetto “telemarketing“. In tal modo, le aziende, per conservare il proprio diritto di commercializzare i propri prodotti o servizi, sono state obbligate per legge ad adottare la logica commerciale dell’opt-in, che prevede il preventivo consenso degli utenti prima dell’invio di qualsiasi messaggio promozionale non sollecitato, come previsto anche dal Codice della Privacy. l’Italia, contrariamente a quanto è stato già attuato negli altri Paesi, ha scelto invece la logica dell’opt-out che, se applicata correttamente, prevede l’iscrizione facoltativa in un registro apposito, ma solo per chi vuole espressamente dichiarare il proprio rifiuto ad essere contattato per vendite e promozioni. Inoltre, mentre la direttiva comunitaria in questione, dispone che le norme di tutela interne ai singoli Stati siano completamente gratuite, la procedura burocratica prevista dal Registro ci costerà del tempo e anche il prezzo del francobollo per la raccomandata. Infine, il DPR, che sarà approvato entro il 25 maggio, facendo espresso riferimento alla tutela degli abbonati telefonici, non impedisce di fatto che i nominativi siano prelevati da elenchi di altro tipo, nemmeno dopo l’iscrizione al registro. Insomma: parafrasando una vecchia pubblicità, ironicamente si potrebbe dire “no iscrizione, no protezione”. Si attendono ulteriori sviluppi della situazione, ma queste continue reinterpretazioni dei diritti fanno riflettere molto sullo stato di salute della democrazia italiana. Soprattutto ora che, giunti al punto di dover pagare un pegno nazionale – per essere garantiti dalle leggi interne – e una multa più che probabile – per non aver rispettato le norme internazionali – sembriamo comunque condannati a un destino di “eterni pagatori”, come diceva il nostro vecchio, caro Eduardo De Filippo.

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