Diario della guerra
Testimonianze di:
Jaroslava Khomenko (Kyiv, Ucraina) – critica d’arte, traduttrice, insegnante della lingua italiana, autrice del progetto culturale LENTE DI FRESNEL
Aksana Danilčyk (Minsk, Bielorussia) – poetessa, traduttrice, studiosa di letteratura fa parte del progetto culturale LENTE DI FRESNEL
Il 1 marzo 2022, martedì, il sesto giorno di guerra
di Jaroslava Khomenko
Quando morì Stalin il mio bisnonno rise. Faceva l’operaio in ferrovia. Era una persona “semplice”: riparava le scarpe, andava a pescare con il suo amico, amava il suo cane, cantava in coro di Grigorij Veriovka le canzoni ucraine: “A molodist’ ne vernet’sia…” (“E la giovinezza non ritorna…”) e “Čomu ja ne sokil…” (“Perché non sono un falco…”), insomma ha vissuto una vita normale per noi tutti con le sue gioie e disgrazie. Ho scritto la parola “semplice” tra virgolette perché le persone non si dividono in “semplici” e “complicate”. Per capire una cosa che è veramente semplice – quanto il bene differisca dal male, non è necessario essere un pozzo di scienza, non è necessario possedere dei tratti particolari di carattere. Inevitabilmente ci si ricorda di Immanuel Kant e del suo imperativo categorico: “Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale DENTRO di me”. È l’unica cosa che ci rende esseri umani. Quelli veramente liberi, aggiungo io. Quindi, il mio bisnonno Markijan rise. La maggior parte di coloro che lo circondavano, coloro i cui parenti morirono per mano del boia, che vissero le sofferenze tragiche, piansero a singhiozzi. Mi sembra una cosa perversa, no? Sono felice che il mio bisnonno sia stato una persona sana ma soprattutto libera.
Il mio prozio durante la Seconda guerra mondiale faceva il pilota militare. Mentre sto scrivendo queste parole vedo davanti ai miei occhi il suo volto raggiante con un casco da aviatore in testa. Lui mi guarda dalla vecchia foto ingiallita inviata dal fronte a sua sorella Maria, cioè a mia nonna. Lui rimase illeso e dopo la guerra diventò allenatore sportivo.
Mio nonno materno è nato a Charkiv. Faceva l’ingegnere in una fabbrica di una industria alimentare a Čerkassy. Visto che ricopriva una carica importante poteva tranquillamente stare a casa però andò volontario al fronte nel 1943 e quasi immediatamente morì. Era una persona molto buona di quelle che muoiono sempre per prime. Mia madre non ha mai visto suo padre.
Mio padre prima di andare in pensione ha fatto l’interprete, anche quello militare: in Egitto, Yemen e a Damasco. È nato nel 1945 ed ora ha 76 anni. Dal 1979 al 1981 la nostra famiglia ha vissuto in Siria. Avevo pochi anni, sono nata nel 1973. Da allora Damasco, dopo Kyiv, è diventata per me la seconda città d’infanzia. Quella Damasco. Non questa di oggi. Mi sono sempre lamentata di avere una buona memoria malgrado che alcune cose fosse meglio non ricordarsele. Invece io me le ricordo: per esempio come esplode un palazzo di molti piani situato a due quartieri dalla nostra casa. Ancora ieri siamo andati a vedere un film e stamattina al suo posto c’è un informe cumulo di macerie. Conosco bene cosa vuol dire camminare per la città in cui ad ogni angolo c’è un uomo baffuto con un mitra in mano e la mamma portandoti a scuola ogni volta prende una strada diversa perché l’autobus lo possono far saltare in aria ed è meglio andare a piedi.
Il 24 febbraio del 1970 i miei genitori si sono sposati. Da allora sono passati 52 anni.
Dal 24 febbraio del 2022 loro non potranno più considerare questo giorno come la loro piccola festa privata.
Ogni sera guardo i miei genitori, stando seduta in un piccolo pezzo del corridoio che una volta abbiamo “ritagliato” da quello lungo corridoio comune che porta verso l’ascensore. È tappezzato di poster di mostre artistiche e spettacoli teatrali. Vi era appeso uno specchio ovale che dovevamo togliere, c’è una lanterna magica e una scritta: “Vi saluta la bella Kyiv!”. Sto guardando i miei cari genitori e penso: avrebbero mai immaginato che avendo iniziato la loro vita subito dopo la Seconda guerra mondiale, dopo aver costruito il loro mondo in cui la guerra faceva una gran parte della loro vita, della vita dei loro genitori, nati all’inzio di quella Prima, che questo pezzo di corridoio sarebbe diventato per noi un rifugio durante le sirene; comprendere, che il nuovo mondo di nuovo viene creato dalla guerra solo che non sono le epoche che cambiano, ma il paradigma della nostra esistenza comune sulla Terra. In questo senso il XXI secolo è cominciato proprio il 24 febbraio 2022. In questo punto si sta concentrando tutta l’esperienza del secolo precedente, finisce la grande guerra civile che secondo me non è mai finita, se ne trae l’esperienza e si compie la comune redenzione dei peccati. Ha a che fare con la Legge e proprio per questo tutto ciò che sta accadendo ora è così crudele e insopportabile, così disumano e, sia letteralmente sia metaforicamente, è legato alla Morte. Alla Morte del Vecchio Mondo. Può darsi sia un po’ troppo esagerato ma lo sento proprio così, tremando dalle esplosioni lontane nell’angolo del nostro pezzo stretto del corridoio. Perché “l’unica terra dove edificare il mondo nuovo è quella su cui rovina il mondo vecchio: così ogni utopia cresce sulle macerie di un passato, ogni speranza inizia con una rinuncia, e ogni vita è il frutto di un lutto.”(1). E trovandosi nell’epicentro della grande tragedia che stiamo vivendo non solo noi ma anche il mondo intero, sto pensando che grazie a Dio abbiamo la fede, la speranza, l’amore e l’imperativo categorico di Kant.
1 – Alessandro Baricco “Quel che stavamo cercando”, frammento 32.
La traduzione dal russo all’italiano è dell’autore
Kyiv – Minsk
A Jaroslavа Khomenko e Oliana Ruta
di Aksana Danilčyk
A casa? A casa.
Come se dal fatto che tu sia a casa,
la guerra si fermasse per un istante.
Sono anch’io a casa, sempre online,
a raccogliere frammenti
della mia testa a pezzi,
ma non è possibile, non stanno insieme, non si riattaccano.
A casa? A casa.
Preghiera per l’Ucraina,
e forse per l’Ucraina e la Belarus’?
Ma bisogna pregare
anche per i nemici
e allora, devo aggiungere per la …?
La mano non si vuole alzare,
scrivo – per la pace.
A casa? A casa.
Cronaca di una morte annunciata
trascorsa tutto il tempo
davanti ai miei occhi
con uccelli dai corpi lacerati,
ho pensato: a cosa mi serve questo segno,
e il segno era per tutti noi.
A casa? A casa.
Forse un rifugio antibomba?
Anche lì c’è comunque poco spazio…
Oh, cielo che esplodi bombe su di noi,
oh, nauseante indifferenza di quelli
che potrebbero chiuderlo,
oh, squallida ruota della storia,
oh, maledetta ingordigia
di visceri altrui…
A casa? A casa.
25.02.2022
***
Sorelle!
Le lacrime mi colpiscono le tempie
con sangue incontenibile
non vorrei scrivere versi così –
con il vostro e con il mio –
non vorrei scrivere versi così –
e guardare il cielo
rendendomi conto che da qualche parte
оltre l’orizzonte
la cenere nera della notte versa
morte sulla strada.
Sorelle!
Il nervoso sole non può trovare
il proprio posto
al pensiero che quest’alba –
possa essere l’ultima.
Ora si nasconde, poi sbircia di nuovo,
e la disperazione
visibile anche oltre le sbarre delle nuvole,
fa urlare:
Sorelle!
Il mondo è cambiato in un istante
davanti ai nostri occhi.
Possono le parole che abbiamo scritto
fermare questo orrore?
Ma la primavera non si ferma, sciolte le catene di ghiaccio,
il tuono primaverile risuonerà,
e aprirà le ali un libero gabbiano
sul nostro Dnepr.
Sorelle.
08.03.2022
Traduzione dal bielorusso in italiano di Marco Ferrentino
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