“Dia da Consciencia negra” La Schiavitù in Brasile – 4
(IV e ultima Parte) Quando i portoghesi colonizzarono il Brasile non c’era un’adeguata mano d’opera per i lavori da svolgersi in loco. Di fronte alle esigenze dei coloni, il governo portoghese ordinò, così, l’utilizzo degli indios. La Chiesa Cattolica (in particolare i Gesuiti) si schierò da subito in difesa delle popolazioni autoctone, condannando la pratica della schiavitù ed evitando il verificarsi di prepotenze e uccisioni come invece era accaduto con gli aztechi in Messico e gli Incas in Perù. Vista, allora, l’impossibilità di utilizzare gli indios, i portoghesi cominciarono a catturare schiavi in Africa da utilizzare nelle piantagioni ed in seguito nelle miniere. I negri deportati dal continente d’origine erano trasportati nelle stive delle navi dette, appunto, “negriere”. A causa delle pessime condizioni igieniche molti di loro morivano durante la traversata. Una volta sbarcati venivano venduti all’asta e comprati da agricoltori e proprietari terrieri che li trattavano con forme disumante e di assoluta crudeltà. Nonostante questa pratica fosse considerata “normale” dalla maggioranza delle persone, vi era anche chi si schierava contro questa aberrazione detti, appuinto, “abolizionisti” (letterati, cattolici, politici legati alla massoneria e imprenditori). Purtroppo, per molti, questa pratica, però, proseguì in Brasile per quasi 300 anni. Il principale fattore di mantenimento di tale condizione per un periodo così lungo era di natura economica prevalentemente agricola che si basava esclusivamente sul lavoro degli schiavi. Dal 1870, le regioni meridionali del Brasile inziarono ad utilizzare dei salariati brasiliani e degli immigrati stranieri. Nel Nord del paese le fabbriche si sostituirono alle piantagioni permettendo l’utilizzo di un numero assai minore di schiavi. Inoltre, nella principali città, tra gli abolizionisti vi erano numerosi imprenditori e banchieri che desideravano una rapida ed “indolore” industrializzazione della nazione. Tenendo, infine, conto delle pressioni dell’Inghilterra, il governo raggiunse i suoi obiettivi con grande ed attenta gradualità al fine di non scontentare i grandi proprietari terrieri e le loro ripercussioni. Il primo passo si fece nel 1850 con l’abolizione del traffico negriero. Venti anni più tardi, fu varata la legge “Lei do ventre livre” (28 settembre 1871) che riconosceva la libertà ai figli degli schiavi che nascevano alla data della promulgazione della medesima. Nel 1885, fu approvata la Legge “Saraiva Cotegipe” (dos Sexagenarios) che accordava, inoltre, la libertà ai negri che avevano oltre 65 anni. Ma sarà solo dal 13 maggio 1888 con la “Lei Aurea”, che verrà raggiunta in Brasile la libertà totale. La “Legge Aurea” fu varata, infatti, dalla Principessa Isabel ed aboliva definitivamente e totalmente la pratica schiavistica in Brasile, rimasto l’ultimo paese che continuava a praticarla.
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