DE ARCHITECTURA
La capacità dei Romani di sintetizzare, trasmettere la conoscenza basata su generalità e astrattezza dai singoli casi individuali e concreti, su cui si poneva la riflessione, è stata la forma mentis che ha potuto creare, tra le altre cose, al diritto come scienza giuridica. Pertanto capacità volta allo studio, alla riflessione, miglioramento e divulgazione del sapere. Nel De Architectura, opera composta in dieci libri, Marco Vitruvio Pollione (80 a.C. circa-15 a.C. circa) descrive in maniera organica e analitica ogni aspetto dell’edilizia romana e anche greca. Criteri, come l’esposizione dell’edificio, le proporzioni, ossia i rapporti proporzionali tra le diverse parti dell’edificio, le simmetrie, ossia i calcoli geometrici, i dati teorici fondamentali e, in riferimento alla formazione professionale, Vitruvio ci dice che “La pratica deriva da un continuo e incessante esercizio finalizzato a realizzare lo schema di un qualunque progetto, mediante l’attività manuale che plasma la materia. La teoria invece consiste nella capacità di mostrare e spiegare dettagliatamente la realizzazione dei progetti studiati con cura e precisione nel rispetto delle proporzioni” dove “L’architetto dovrà inoltre essere a conoscenza delle norme giuridiche per gli edifici”. In riferimento ai fondamenti estetici, sono indicati l’ordinatio (proporzione e simmetria di un’opera, in rapporto di simmetria e proporzione col complesso), dispositio (qualità compositiva dell’opera), cogitato (studio consapevole), inventio (risoluzione dei problemi), eurythmia (bello estetico), symmetria (armonico accordo tra parti), il decor (la bellezza di un’opera senza difetti) e la ditributio (partizione tra materiali, area edificabile e spesa). Per quanto riguarda le origini dell’edilizia, si afferma che nessuna cosa “può esistere e neppure essere concepita se non come fusione di elementi fondamentali”. Secondo Vitruvio tutto è ordinato secondo la volontà della Natura e la proporzione è definita come “la possibilità di commisurare, secondo un modulo fisso, le singole parti di un’opera e l’insieme nel suo complesso…se la natura ha creato il corpo umano in modo che le membra abbiano una rispondenza proporzionata con tutta la figura nel suo complesso, a buon ragione gli antichi hanno stabilito che anche nelle loro opere si debba rispettare l’esatta proporzione delle singole parti con l’insieme della figura.” L’urbanizzazione deve avvenire prima ripartendo strade e piazza, poi la scelta delle aree sacre, il foro e altri luoghi pubblici ma “Se la città sorgerà lungo il mare l’area destinata al foro sarà quella vicina al porto; se invece sorgerà all’interno il foro si troverà al centro.” Per quanto riguarda i materiali edili, Vitruvio ci dice che il mattone romano è chiamato Lydio, è lungo un piede e mezzo e largo un piede. La sabbia per il calcestruzzo è indicata in tre varietà: “nera, bianca, rossa e rossa scura” che non deve essere mischiata con la terra per impastare la malta. Tra i materiali sono elencati anche la pozzolana, le pietre e la calce. Quest’ultima, si ottiene cuocendo “pietra bianca o di selce” e poi mescolata con sabbia “nel rapporto di uno a tre se questa è di cava, di uno a due s invece è di fiume” e il risultato sarà migliore se alla sabbia si aggiungerà “la terza parte di frammenti di coccio pestato e setacciato” e, in fine, si aggiunge l’acqua. Il legname per le costruzioni va tagliato in autunno-inverno e, prima del taglio, si sega “il tronco fino al midollo e lasciarlo seccare finché sia gocciolata la linfa” e poi si abbatte. Tra gli alberi indicati per le costruzioni sono elencati: l’abete, la quercia che “impiegata in costruzioni sotterranee e ricoperta di terra ha una durata pressoché eterna”, l’ischio, il cerro e il faggio, il pioppo bianco e nero, il salice, l’ontano che “nelle zone paludose viene utilizzato nella fitta struttura di pali piantati nell’acqua che servono da base per le palafitte”, l’olmo e il frassino che “si prestano molto opportunamente a legare giunture e incastri”, il carpino, il cipresso, il pino, il cedro, il ginepro, il larice e le rispettive qualità (ignifughe, attacco da tarli, flessibilità, rigidità, qualità resina, assorbimento, malleabilità, struttura, porosità, venatura). Ora, affrontando le singole specificità dell’edilizia, in riferimento alle fondazioni di mura e torri, lo scavo deve arrivare al terreno solido e avere uno spessore maggiore delle mura. L’accesso alle porte non deve essere “in diagonale sulla sinistra” da costringere il nemico a mostrare il lato non protetto da scudo. Indicate due opere murarie: reticulatum e opus incertum. Il primo è in voga nei tempi di Vitruvio, come ci dice; mentre il secondo nei tempi antichi, composto da una pietra sull’altra ed è più resistente. Tali pareti si realizzano “una volta che le pareti siano ben a piombo, l’intercapedine tra le due fronti viene riempita con pietrisco misto a malta.” Il tempio è formato da base, colonna, capitello, architrave, fregio, cornice, timpano, frontone, acroteri, pronao, cella ed è realizzabile in tre stili: dorico, ionico e corinzio dove il più antico è lo stile dorico, la cui denominazione dei tre stili “deriva dal tipo di colonna”. Le parti poste “sopra le colonne corinzie sono riprese o dall’ordine dorico o da quello ionico”. Gli stili dorico e ionico hanno origine da luoghi (città doriche e ioniche), dove lo stile ionico si ispira alle volute della capigliatura femminile, mentre lo stile corinzio ha origine da un cesto con foglie d’acanto. Le colonne ioniche presentano delle scanalature e le colonne corinzie “hanno la stessa simmetria di quelle dell’ordine ionico” ma appaiono più esili perché se il capitello ionico ha un’altezza pari a un terzo del diametro della colonna, quello corinzio “misura quanto l’intero diametro”; mentre il capitello corinzio ha un’altezza pari “al diametro inferiore della colonna”. Per la proporzione delle colonne si utilizzò inizialmente come misura, per garantire eleganza e capacità di reggere il carico “l’orma di un piede che nell’uomo corrisponde ad un sesto della sua altezza, applicarono questa proporzione alle colonne e stabilirono che la loro altezza, compreso il capitello, fosse sei volte il diametro della base” (canone e misura del piede come unità di misura). L’ordine dorico presenta triglifi e metope, quello ionico da dentelli. C’è anche l’ordine tuscanico e il tempio a pianta rotonda. Il tempio, in generale, deve essere orientato verso ponente. Gli edifici, pubblici e privati, sono: foro, basilica, erario, carcere, curia, teatro, bagni, palestre, strutture portuali, lastricato, acquedotti, abitazioni e le abitazioni di campagna. Per quanto riguarda la curia, deve sorgere vicino al foro e rispondere “al prestigio della città e dei suoi abitanti. Se a pianta quadrata la sua altezza sarà equivalente a una volta e mezzo il lato, se invece rettangolare, l’altezza da terra al soffitto sia pari alla metà della somma di lunghezza e larghezza. Internamente inoltre si dovrà disporre attorno alle pareti una cornice di legno o di stucco, a mezz’altezza, per evitare che le voci si disperdano in alto senza giungere all’orecchio degli ascoltatori”; mentre in riferimento al teatro, Vitruvio ci dice che esistono tre tipologie di scena: tragica, comica e satirica e che, in base ad esse, segue il corredo (elementi di regalità per la scena tragica, elementi di case private per la scena comica e elementi naturali per la scena satirica), individuando il principio di funzionalità e della destinazione d’uso come criteri per variare le proporzioni. L’edilizia privata si costruisce in base a climi e latitudini, dove al nord le case saranno più chiuse (edifici a volta, chiusi e senza aperture) ed esposte verso il settore caldo; mentre a sud, “le case avranno maggiori aperture e saranno rivolte verso nord, nord-est”. Nella costruzione degli edifici privati, oltre alle simmetrie e le proporzioni, occorre anche tener presente il luogo di edificazione, la luce, l’esposizione, la funzionalità, l’eleganza e non deve mancare la competenza, intuizione e intelligenza da parte dell’architetto. Inoltre, bisogna verificare che le strutture siano “perfettamente a piombo”. L’architetto deve saper cogliere consigli e pareri dalle persone e dagli operai perché la bellezza è comunque capibile da tutti. Ora, Vitruvio riporta un passo interessante, facendo riferimento ad Agatarco che, in riferimento all’allestimento di una scena di teatro, asserisce che sia Democrito sia Anassagora scrissero che “fissato in un dato punto un centro focale sia rispetto al campo visivo che alla proiezione dei raggi, si stabilisce una corrispondenza tra le linee e la realtà naturale cosicché delle forme incorporee creano sulla scena l’immagine reale di edifici con i loro volumi ora sporgenti, ora rientranti pur essendo essi dipinti su superfici piane e verticali”: prospettiva. Nel realizzare la pavimentazione occorre rendere il suolo compatto, spianato e uno strato di calcinacci. Se il suolo non si presenta compatto, allora si consolida utilizzando pali. Poi ciottoli e la gettata di ghiaia e calce (calcestruzzo) in rapporto di tre a uno che gli operai stenderanno e presseranno con mazze di legno realizzando uno “spessore di tre quarti di piede”. Si aggiunga uno strato di calce e coccio (rapporto uno a tre) per uno “spessore di almeno sei pollici” e, in fine, il pavimento di pietra o mosaico utilizzando la squadra e la livella perché deve essere perfettamente piano. Fatto ciò si leviga, si passa la polvere di marmo e “uno strato protettivo di calce e sabbia”. L’intonaco? Rinzaffatura, tre strati a granuli decrescenti utilizzando gli appianatoi e poi polvere di marmo levigata. Se il locale è umido, va effettuata una rinzaffatura di coccio pesto al posto dell’arenato per un’altezza di “tre piedi dal pavimento”. Nella pittura delle pareti, si deve rispettare il “principio di adesione alla realtà” e i materiali e i colori sono il sil, le terre rosse, paretonio, il melino, la creta verde, l’orpimento, la crisocolla, l’indaco, il minio, il nerofumo, il blu e il giallo, la biacca, il verderame, la sandracca, la porpora (si ricava da una conchiglia marina, il cui liquido rosso viene lavorato nel mortaio) e colori artificiali. L’acqua? Piovana, sorgenti di superficie e sotterrane che vanno convogliate, pozzi. L’acqua migliore è quella montana. Tre tipologie di acquedotto: “canali in muratura, condotte in piombo e tubazioni di terracotta” dove, nel primo caso, la pendenza deve essere compresa “tra un quarto e un mezzo piede ogni cento”, copertura a volta, e se il terreno è tufaceo o roccioso, basta realizzare un canale. Se si utilizza il piombo, occorre realizzare le tubature che hanno diverse misure; mentre quelle in terracotta vanno assottigliate ai bordi in modo da incastrare le une con le altre e saldate con un “impasto di calce viva e di olio”. Vitruvio comunque consiglia, per avere un’acqua salubre, di “ricorrere il meno possibile a condutture di piombo”, ravvisando le migliori in quelle di terracotta. Le macchine da lavoro? Macchine da trazione (Leve, verricelli, carrucole, argani, gru) basate sul principio del sistema meccanico: per sollevare pesi, “assi centrali delle pulegge e nelle carrucole sono inseriti dei perni; la fune che passa attorno alle pulegge sviluppa una forza di trazione rettilinea, e poi ancora, collegata al verricello con la rotazione che gli viene impressa tramite le leve, permette il sollevamento dei pesi verso l’alto.” Altro strumento è la leva di ferro che consente di spostare un peso maggiore che con le singole braccia. Essa è composta da un fulcro “punto di appoggio” del braccio inferiore della leva. Un “trattato organico di architettura”.
Foto: Roma, Curia.
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