Dante e gli omosessuali. Il “poema sacro” e i suoi risvolti insospettati
A chi — come me che scrivo — ebbe modo di leggere, quasi dieci anni fa, la prima edizione del presente libro, l’uscita di questa versione ampliata nei contenuti offre il destro per ripresentare, al pubblico dei lettori, un saggio dalle tesi dirompenti, eppur rigorosissimo. [A. Onorati, “Dante e gli omosessuali nella Commedia”, Società Editrice Dante Alighieri]
In un’epoca (la nostra) in cui il tema dell’orientamento sessuale torna a fare spesso capolino — continuando a dividere la gente su cosa sia ‘normale’, e cosa invece ‘deviato’ —, Aldo Onorati vuol dimostrarci come il cristiano Dante Alighieri avesse, al riguardo, una posizione assai meno scontata e ‘angusta’ di quanto si soglia pensare — finanche nel suo Medioevo.
Siamo certi, ad esempio, che egli nella “Commedia” abbia collocato gli omosessuali tutti all’Inferno? In molti ne sono convinti (perlomeno, chi ha letto il poema solo parzialmente): ma in realtà non è così. Nel complesso aldilà dantesco, ritroviamo colpevoli di sodomia anche fra le anime del Purgatorio. Costoro, dunque, ascenderanno un giorno al Paradiso, guadagnando a loro volta la Salvezza.
Ma non è solo questo che interessa a Onorati, dopo aver trascorso una vita a studiar l’opera dell’Alighieri. Anche quando scende negli inferi, Dante mostra di considerare il valore ‘umano’ di alcuni personaggi incontrati come qualcosa d’indipendente dal peccato che hanno commesso. Da un lato, diciamo, c’è il grande impianto teologico — che il poeta cattolico è tenuto a rispettare. Dall’altro, permane un sentimento di profonda partecipazione al dolore di certi dannati, accanto a una vera ammirazione per la nobiltà dell’animo che in vita li contraddistinse.
Sono proprio gli omosessuali, i peccatori verso cui più si rivela un tale duplice atteggiamento. Come scordare l’immagine paterna di Brunetto Latini — il quale fu per Dante non solo maestro di cultura, ma anche di moralità? O quegli altri dannati, puniti assieme a Brunetto per la stessa colpa, cui l’Alighieri riconosce degli intimi meriti?
Come un pittore, in qualunque epoca, cui ‘sfugga’ dalla mano una pennellata particolare (una linea, un tratto intuitivo), la quale lo proietti al di là del proprio tempo, Dante crea una prospettiva — nei “secoli bui”! — per cui le inclinazioni carnali d’un individuo non vanno a sminuirne il valore interiore, e neppure la grandezza delle gesta che può aver compiuto.
Nella “Divina Commedia”, la dimensione dell’umano conserva, invincibilmente, un ruolo essenziale. A dispetto di certe rigide gabbie esegetiche intese a imprigionar un testo che ancora ha molto da svelare.
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