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Dall’autodifesa personale in U.S.A. all’autodifesa preventiva ultranazionale

Novembre 07
15:33 2012

V’è un principio in America, difficile da estirpare da loro, difficile da condividere da noi in Italia: bisogna armarsi per difendersi.

Perlopiù, i cittadini americani si sentono sicuri se possono comprarsi le armi che vogliono per difendersi individualmente, piuttosto che sapere che ad altri cittadini non è consentito acquistare armi a destra e a manca per colpirli. Fosse consentito soltanto il porto d’armi ad anima liscia, come quelle dei cacciatori, o di rivoltelle di piccolo calibro da usarsi in caso di aggressioni armate ravvicinate, sarebbe già qualcosa, ma in America è consentito quasi dovunque acquistare armi semiautomatiche ed automatiche, comprese quelle da guerra vietatissime da noi. È una logica culturale autolesiva, che trova le sue radici giuridiche nella Costituzione americana (Secondo emendamento), e che arreca un numero impressionante di decessi l’anno.

Si potrà dire: «Gli americani facciano quel che vogliono a casa propria… a noi cosa importa? Si scannino, si ammazzino, tanto non ho intenzione di visitare l’America!» Se questa impronta culturale dell’autodifesa si limitasse agli americani in America, il danno sarebbe contenuto in una popolazione ampia, ma tutto sommato limitata. Il che sarebbe comunque un danno ingente, visto il costo annuo di vite umane. Secondo gli ultimi dati forniti dalle Nazioni Unite (Unodc), gli omicidi per armi da fuoco negli Stati Uniti nel 2010 sono stati 9.960; ma questi sono dati parziali, visto che non vengono conteggiati i casi di persone assassinate e scomparse, né gli incidenti o altre fattispecie di morti causate da armi da fuoco. I dati italiani mancano all’Onu da tempo, e si attestavano comunque a circa 443 decessi l’anno, con un tasso di 0,75 ogni 100.000 abitanti, contro il 3,2 americano del 2010 e il 3,77 americano nello stesso periodo dei dati italiani (2003-2006).

Di fatto molti di noi italiani vanno in America, col rischio di prendersi qualche proiettile vagante, non solo dagli assassini, ma anche dai poliziotti che per difendersi aprono il fuoco, come è successo a New York in agosto, quando hanno ferito nove passanti nei pressi dell’Empire State Building. Capita spesso di trovarsi coinvolti in sparatorie nella civile America? Rispetto a quel che avviene da noi sì, rispetto a quel che avviene normalmente lì grazie al cielo no davvero. A me non è mai successo di assistere a violenze di alcun tipo a Manhattan, e francamente ci giravo senza alcun timore d’essere aggredito.

Eppure la disinvoltura con cui vengono utilizzate le armi da fuoco in America costituisce un elemento culturale da tenere in considerazione. Secondo il rapporto The Small Arms Survey 2007: Guns and the City condotto da Glenn McDonald, Sahar Hassan e Chris Stevenson, e riutilizzato dall’Unodc nel 2010 riguardo al possesso di armi da fuoco da parte dei privati cittadini nel mondo, gli Stati Uniti figurano, con netto distacco dagli altri, al primo posto con l’88,8% della popolazione, seguiti dallo Yemen (54,8%) e dalla Svizzera (45,7%). Se si considera che gli omicidi compiuti con armi da fuoco negli Usa hanno per vittime un tasso di circa 3,2 persone ogni 100.000 abitanti, contro lo 0,8 svizzero (ma i dati son fermi al 2004), non è difficile dover ipotizzare una componente culturale violenta in America, ossia una certa disinvoltura nell’uso soprattutto criminoso delle armi ma non solo (la dialettica della criminalità violenta andrebbe peraltro di molto approfondita), che contrasta nettamente con le prerogative di sicurezza civile e nazionale del Secondo emendamento della Costituzione americana, il quale finisce per mettere quelle armi in mano ai cittadini di ogni tipo.

Ma lo Stato federale che fa al riguardo, perché non tutela maggiormente i pacifici cittadini inermi? Beh, a dirla tutta, non è che l’idea di una poca presenza dello Stato in America sia un gran danno riguardo alla violenza. Non solo un gran numero di repubblicani difende la libera circolazione delle armi, ma anche parecchi esponenti democratici la difendono, come la sventurata rappresentate del Congresso Gabrielle Giffords, classe 1970, la quale, fino a pochi giorni prima di essere colpita alla testa dal proiettile esplosole a bruciapelo da uno squilibrato, dichiarava di sentirsi protetta pel solo fatto di avere lei stessa una pistola, di cui aveva detto alla stampa anche il modello.

Gli squilibrati sono dappertutto, ma un conto è poter usare un coltello, un altro un mitra o, nel caso in specie, una semiautomatica con proiettili calibro 9 parabellum: a Tucson, quando Giffords venne gravemente ferita lo scorso anno, non ci avrebbero lasciato le penne sei persone, tra cui una bambina di nove anni e un giudice federale presenti al comizio dell’esponente democratica, se quelle maledette armi non fossero facilmente collezionabili dall’ultimo fuoriditesta della cronaca nera.

Il punto è che il governo americano ha deciso di esportare la cultura dell’autodifesa all’estero, armando fino ai denti alcuni suoi paesi ‘amici’. Lo aveva fatto coi talebani in Afghanistan e con Saddam Hussein, finché da ‘amici’ non sono diventati avversari sanguinari e insanguinati, a danno soprattutto dei civili inermi. Gli Stati Uniti lo scorso anno hanno segnato il loro record storico di vendite di armamenti: 66,3 miliardi di dollari di esportazioni, triplicando le vendite dell’anno precedente. Sarà che i russi o i cinesi vendono di più per rafforzare i propri alleati strategici? No, al secondo posto per le vendite è sì la Russia con 4,8 miliardi di dollari di esportazioni, la quale ha però dimezzato le vendite all’estero rispetto all’anno precedente. La Russia in realtà ha venduto più o meno quanto la Francia, la quale si è attestata al terzo posto con vendite di armamenti pari 4,4 miliardi (in netta crescita rispetto all’anno precedente). Di fatto, i paesi dell’Unione Europea (nell’ordine di vendita: Francia, Italia, Regno Unito e Germania in testa) sono la seconda unione di paesi al mondo che esporta di più dopo gli Stati Uniti.

Nel 2011, l’Italia ha venduto armi per un quantitativo pari a 1,200 miliardi di dollari, attestandosi al quinto posto dopo la Cina (2,100 milioni di dollari) e triplicando le vendite del Regno Unito (400 milioni di dollari: sì, milioni, non miliardi) e vendendo più di dieci volte quello che ha venduto la Germania (100 milioni di dollari). In sostanza, sotto l’Amministrazione Obama gli Stati Uniti si sono accaparrati quasi 4/5 dell’intero mercato mondiale di esportazioni di armamenti (77,7%), rimanendo, dopo i fallimenti politici e militari degli ultimi undici anni, l’unico paese insieme alla Francia a credere che armare il mondo sia la migliore soluzione in politica estera e, fors’anche, per assottigliare i diritti civili nel proprio paese con l’alibi della sicurezza nazionale (è quanto è avvenuto con un crescendo stringente di decreti da George W. Bush ad Obama, entrambi noti sostenitori delle deportazioni preventive e, quest’ultimo, delle esecuzioni capitali mirate anche nei confronti dei propri cittadini, come già evidenziato dal New York Times).

I dati delle esportazioni di armamenti sono stati forniti dal Congressional Research Service, su incarico del Congresso americano, e costituiscono, a dire di chi è più addentrato di me, il più minuzioso rapporto pubblico che sia mai stato fornito in America su questa materia. Da questi dati ora sappiamo che l’Arabia Saudita, che ha acquistato quasi la metà delle armi vendute dagli Stati Uniti (33,7 miliardi di dollari di cui 33,4 dagli Usa), avrà a breve 154 caccia F-15 da combattimento nuovi di zecca o modernizzati. Di fatto, l’area mediorientale, messa in subbuglio dagli Stati Uniti con la guerra irachena e con le continue minacce di estensione del conflitto in Iran, ha portato un grosso profitto di vendite, col rischio di un incremento della corsa agli armamenti da parte degli antagonisti degli acquirenti degli Usa.

Un altro dato inquietante di questa politica è il fatto che le vendite dell’Amministrazione Obama sono quasi raddoppiate rispetto a quelle della precedente Amministrazione Bush, se è vero, come è vero, che negli ultimi cinque anni dell’Amministrazione Bush è stato venduto all’estero un quantitativo di armamenti pari a 110,179 miliardi i dollari (2004-2008) contro i 110,430 miliardi nel triennio di Obama (2009-2011). I valori espressi in dollari sono stati parificati nel rapporto del CRS per fini comparativi, tarando le variazioni dell’inflazione.

A fronte dell’approccio culturale statunitense e dei nefasti dati dell’autodifesa armata, bisogna davvero avere gli occhi bendati per poter intravedere una riduzione dello spargimento di sangue delle popolazioni civili nei paesi sottosviluppati a fronte dell’incremento di vendite di armamenti verso quei paesi, per difendersi da eventuali attacchi esteri o meno. Le armi non hanno per padroni gli ideali.

LINK:

Statistica sugli omicidi dell’UNODC: http://bit.ly/9Sj0hE

Glenn McDonald, Sahar Hassan e Chris Stevenson, The Small Arms Survey 2007: Guns and the City: http://bit.ly/gehNCw

Rapporto CRS del 2012: http://bit.ly/SOodrl

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