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Dalla ‘pedagogia’ all’’educazione’: storia di una grande donna

Dalla ‘pedagogia’ all’’educazione’: storia di una grande donna
Giugno 01
02:00 2007

Cinquantacinque anni fa,la mattina del 6 maggio 1952, Maria Montessori si accingeva a discutere con l’amatissimo figlio Mario l’ipotesi di realizzare un nuovo progetto educativo per l’infanzia in Ghana. Nonostante le obiezioni del figlio sulle difficoltà, l’età, il clima, chiedeva una carta per meglio considerare il territorio. Ma quando il figlio giungeva con l’atlante, Maria era morta, avendo nel cuore e nel pensiero, fino alla fine, i bambini. Superiore ad ogni etichettatura, filosofica come politica, dell’epoca, né positivista né idealista, Maria aveva la stoffa dei grandi educatori, la bontà asciutta e burbera che si compiace non di retorica ma dell’operare. Nata nel 1870 in una famiglia che la madre Renilde aveva impostato in direzione liberale e cattolica sull’esempio dello zio Antonio Stoppani (sacerdote sì, ma anche strenuo fautore dello sdoganamento di scienza e ricerca dall’ipoteca teologica), Maria non solo è la prima donna a laurearsi in medicina, ma vive serenamente (a differenza ad esempio di una Sibilla Aleramo) la sua condizione femminile, di cui rivendica dignità e indipendenza, partecipando anche come unica italiana al Congresso femminile di Berlino del 1896. E del resto, anche nell’impostazione del suo metodo educativo abolirà ogni distinzione tra maschi e femmine. Ma la grande occasione di realizzare ‘sul campo’ i presupposti teorici di un totale rinnovamento dell’educazione le viene offerta attraverso la proposta fattale nel 1907 dall’Istituto Romano dei Beni Stabili di organizzare scuole per i bambini delle nuove case popolari del quartiere di San Lorenzo. Qui, dove il ‘materiale’ umano, per le proprie povere origini, era meno garantito contro gli ‘abusi’ di una educazione tradizionale, tra figli di carcerati e prostitute, Maria gode l’opportunità di una maggiore libertà di azione nella sua opera di rinnovamento. Nasce così, in Via dei Marsi 58 la prima “Casa dei bambini”. ‘Casa’ e non ‘asilo’, per ribadire anche sul piano terminologico la volontà di riscattare il bambino dallo stato di minorità in cui la pedagogia tradizionale lo relegava, facendone uno “schiavo” che “mai…fu tanto proprietà del padrone, come il bambino lo è dell’adulto”, poiché“è l’adulto che provoca nel bambino le sue incapacità, le sue confusioni, le sue ribellioni; è l’adulto che spezza il carattere del bambino e ne reprime gli impulsi vitali”. Per questo, il bambino non avrebbe più dovuto fruire passivamente di materiali elaborati dagli adulti, ma doveva trovare nel suo ambiente “mezzi per l’autoeducazione”, attraverso i quali autonomamente sperimentare e correggere l’errore. Nasce così il ‘materiale montessorian’. Nell’Italia liberale e giolittiana le idee della Montessori trovano accoglienza entusiastica sia per l’originalità del metodo che per la tenacia del suo impegno personale e in seguito lo stesso Mussolini la definirà “eroina della patria”, pur non essendo conciliabili nei fatti i presupposti liberali del metodo con le necessità politiche della formazione fascista dei giovani. E’ così che Maria prende la via dell’esilio, da cui tornerà soltanto nel 1947, ricevendo il saluto caloroso dei deputati della Costituente, che nel discorso di Maria De Unterrichter Jervolino la riconobbero “ambasciatrice geniale di civiltà umana e italiana”. Il metodo montessoriano fu tuttavia anche oggetto di grandi polemiche, sia da parte dell’idealismo di Giovanni Gentile e Giuseppe Lombardo Radice, sia da parte di correnti più ‘spontaneistiche’ nel campo dell’educazione. La verità è che oggi, in tutti i gradi della gerarchia educativa, si sta recuperando l’insegnamento montessoriano e che parlare di ‘metodo’ suona fortemente riduttivo per un pensiero che si fondava su presupposti fortemente scientifici da una parte, facendo assurgere dall’altra il bambino a soggetto di diritto. Ci piace perciò parlare piuttosto ormai di ‘educazione’ e non di ‘pedagogia’, volendo abbandonare definitivamente il pregiudizio paternalistico di chi il bambino voglia ‘condurre’ sulla via della scoperta di se stesso e del mondo.

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