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Da un ventenne del 2025 a un ventenne del 1940: un pensiero per Luigino Giansanti

Da un ventenne del 2025 a un ventenne del 1940: un pensiero per Luigino Giansanti
Gennaio 19
21:29 2025



Cade qui una sentenza di morte: il saluto non è più l’atto di resistenza che il protagonista compie per resistere alla morte; finisce per configurarsi come l’atto che il giovane soldato compie per emendarsi dalla vita e per accogliere la forma-fissità che arresta l’ ‘essere=divenire’.
Si spegne tutto; una fiamma troppo flebile: il ritratto, lo scatto fotografico, il respiro, la foglia, metaforicamente rappresentative della natura e della funzione del saluto, diventano salme.
Il Filosofo, ‘vox clamans nel deserto’, grida: “la morte vince sulla vita. Il non senso fagocita la significatività del mondo, del creato.” Con la morte del saluto si giunge alla celebrazione di un rito cimiteriale. La morte del saluto è la morte dell’uomo.
Luigino non saluta più i suoi cari, i suoi amici e il vicinato: è morto. La conclusione di questo libro grida “ecce homo”. Il Filosofo svela il vero.
Un uomo è morto. È morto un semplice soldato. Si compie il Sacrificio? No. Lo spegnimento di una vita qualunque: è morto un uomo la cui dignità non conta; questa dignità era sepolta già prima che l’uomo fosse sepolto. Non è morta Antigone. Non è morto Edipo. Non è morto Socrate. Non è morto
Gesù. Non è morto Giordano Bruno. Non si compie alcuna libagione: l’olio sacro agli dei viene conservato in una credenza del tempio di Delfi. Risuona e rimbomba il grido di dolore “tutto scorre”: la morte di un uomo semplice è fatto di poco conto.
Cade una sentenza di morte, ancora una volta, che illumina sul depauperamento del pensiero umano: solo i grandi eroi possono descrivere la condizione umana? I deboli e i semplici non hanno diritto a descrivere la condizione umana con i loro atti insignificanti? Può un soldato, un puntistico ed evanescente nessuno, ergersi a eroe e compiere un sacrificio universale? Può un semplice soldato essere assurto agli stessi onori di Antigone e di Edipo e di Socrate e di Gesú e di Giordano Bruno?
Se non fosse per Rita Gatta, la morte di Luigino sarebbe la morte di un semplice soldato. Grazie all’opera storico-filologico-sociologica che l’autrice elabora e realizza, la morte di un semplice soldato diventa uno spunto per riflettere sui crismi che hanno canonizzato un’intera epoca, quella del totalitarismo e della Guerra Totale.
Rita Gatta é probabilmente allieva di Alessandro Manzoni. Luigino è fratello di Renzo e Lucia.
Attraverso la figura di Luigino è possibile leggere in una prospettiva più quotidiana ciò che una delle figure filosofiche più grandi del secolo XX, ossia Hannah Arendt, ha affrontato nel corso dei processi tenuti a Gerusalemme per condannare i gerarchi nazisti e quanti avessero contribuito alla concretizzazione di un male che viene definito dalla filosofa come ‘banale’.
Dunque, il protagonista dell’epistolario rappresenta perfettamente questa banalizzazione del male che si compie attraverso il culto della guerra, cosa che nel Novecento penetra i Tabernacoli: il corpo di Cristo viene spodestato; sale sul trono di Dio una divinità ancora più potente, la Guerra.
Luigino partecipa alla spedizione in Albania con sommo entusiasmo, lontano da ogni possibilità di emancipazione rispetto alle leggi trovate, non quelle biologiche o fisiologiche ma quelle istituite da un totalitarismo. In guerra il giovane soldato uccide ma non attribuisce ai suoi atti una connotazione negativa: pensa, infatti, che le sue prestazioni siano il Bene suo e dello Stato. Infatti, andare in guerra e uccidere uomini gli consente di emanciparsi dalla propria famiglia, di fare un’esperienza altra, di godere di una certa disponibilità economica (sicché manda a casa delle grosse quantità di danaro); allo stesso tempo, il suo è un vero e proprio servizio, atto alla conservazione dello Stato totalitario.
Dunque, Luigino, semplice soldato, consente di riflettere su come il totalitarismo, e per questo a mio parere le istituzioni novecentesche possono essere assurte agli onori di un istituto demoniaco, abbia fatto confusione su concetti come il bene, il male, il giusto, l’ingiusto. Il totalitarismo compie e realizza nella società, sulla scia di un certo nichilismo perfetto, in modo definitivo, un processo di trasmutazione dei valori. Luigino non discerne più tra il bene e il male. Luigino muore senza essere illuminato sul senso. È un sacrificio anche il suo: mostra come la morte sia preminente rispetto alla vita di un uomo che subisce la trasmutazione dei valori.
Luigino muore perché vittima sacrificale di un’intera epoca.
Dall’epoca di Luigino ci siamo allontanati: abbiamo istituito la costituzione repubblicana nella speranza di tornare a discernere tra bene e male, tra giusto e ingiusto; abbiamo istituito l’ordinamento democratico attraverso l’illuminazione sul senso e per una vittoria della vita condotta con l’illuminazione sul senso sullo scorrere ferino che presuppone l’inversione valoriale di cui si parlava poc’anzi.
Ma abbiamo raggiunto ciò che Gandhi propone in un suo aforisma e che Rita Gatta pone come “citazione- dedica” del suo libro? Il potere dell’amore ha vinto sull’amore per il potere? Il senso ha vinto sul non senso? Il discernimento tra bene e male ha vinto sull’inversione dei valori e sulla confusione dei concetti? La vita ha vinto sulla morte? Ancora no. Tutto ciò è una ricerca, non un possesso.

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