Da “Orfeo Euridice Hermes”
…Ma ora seguiva il gesto di quel dio,
turbato il passo dalle bende funebri,
malcerta, mite nella sua pazienza.
Era in se stessa come un alto augurio
e non pensava all’uomo che era innanzi,
non al cammino che saliva ai vivi.
Era in se stessa, e il suo dono di morte
le dava una pienezza.
Come un frutto di dolce oscurità
ella era piena della grande morte
e così nuova da non più comprendere.
Era entrata a una nuova adolescenza
e intoccabile: il suo sesso era chiuso
come i fiori di sera, le sue mani
così schive del gesto delle nozze
che anche il contatto stranamente tenue
della mano del dio, sua lieve guida,
la turbava per troppa intimità.
Ormai non era più la donna bionda
che altre volte nei canti del poeta
era apparsa, non più profumo e isola
dell’ampio letto e proprietà dell’uomo.
Ora era sciolta come un’alta chioma,
diffusa come pioggia sulla terra,
divisa come un’ultima ricchezza.
Era radice ormai.
E quando a un tratto il dio
la trattenne e con voce di dolore
pronunciò le parole: si è voltato -,
lei non comprese e disse piano: Chi?
Ma avanti, scuro sulla chiara porta,
stava qualcuno il cui viso non era
da distinguere. Immobile guardava
come sull’orma di un sentiero erboso
il dio delle ambasciate mestamente
si volgesse in silenzio per seguire
lei che tornava sulla stessa via,
turbato il passo dalle bende funebri,
malcerta, mite nella sua pazienza.
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