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Da Moby Dick all’Orsa Bianca

Da Moby Dick all’Orsa Bianca
Gennaio 31
16:43 2012

Titolo: Da Moby Dick all’Orsa Bianca

Autore: Anna Maria Ortese – a cura di Monica Farnetti

ISBN: 9788845926167

Editore: Adephi

Prezzo: € 13,00

Copertina:Ortese 4bf6 w190_h_mw_mh 1

Descrizione: Da questo volumetto, il 619 della Piccola Biblioteca Adelphi, che in libreria troverete ordinato sotto ‘critica letteraria’, ci arriva un’altra scheggia luminosa dell’arte della scrittrice romana Anna Maria Ortese. La raccolta di scritti copre il periodo 1939/1994. Molti sono articoli pubblicati su grandi testate italiane, fra cui La Stampa, L’Unità, Il Corriere della Sera, o scritti più elaborati da cui la scrittrice trasse quarte di copertina per un

libro dell’amato amico Dario Bellezza oppure per il disco ‘Eduardo (De Filippo n.d.r.) legge se stesso’ pubblicato da Cetra – Torino nel 1960. L’approccio ai testi (siano essi di Čechov, di Mann, di Anna Frank, di Hemingway, per il quale ha un’autentica venerazione, De Amicis, Pratolini o Elsa Morante) è di petto, o di pancia. È con passione che l’autrice ci mette a parte del proprio pantheon culturale di riferimento: gli autori amati sono temporalmente incorniciati in un evento piccolo che possa farli risplendere, per poi brillare di luce propria perché grandi. Il contesto creato dalla Ortese in tutte le sue opere più ispirate, nasce da un’intuizione capace di produrre ‘una luce dietro l’apparenza’ che pervade il lettore, senza abbagliarlo, conducendolo nel merito di un fatto non conosciuto a fondo, anche a settant’anni di distanza. In alcuni di questi scritti, seppure con percorsi diversi da quelli pasoliniani, l’autrice arriva a preconizzare l’attuale situazione di smarrimento di una società che per ‘avere’ ha perso se stessa, quel fine genericamente laico per cui valeva la pena vivere, oltre ad ogni rispetto per le altre forme viventi. Inoltre nell’articolo ‘Il piacere di scrivere’ del 1957, stigmatizzando la letteratura Italiana in contrapposizione alla Russa, scrive: «Non c’è forse, dopo l’Italia, un altro Paese al mondo dove ciascun abitante abbia come massima ambizione lo scrivere (…) si capisce perché la nostra letteratura sia in genere un soliloquio, uno sfogo forbito oppure curioso, mai un’autentica voce, un richiamo, un grido che turbi (…) noi scriviamo per piacere a noi stessi, nel migliore dei casi». Una analisi originale e mai scontata anche nello scritto ‘Cristo e il tempo’ del 1978.

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