Crossing in the bridge. The sound of Istanbul
Il primo settembre è uscito nelle sale italiane il film ‘Crossing in the bridge. The sound of Istanbul.’ Documentario girato da Fatih Akin sulla musica d’oggi e del recente passato a Istanbul.
Trama. Alexander Hacke, membro della band d’avanguardia tedesca Einstürzende Neubauten da oltre 20 anni, è entrato in contatto con la città di Istanbul e la sua musica mentre produceva la colonna sonora del film ‘La sposa turca’. Fatih Akin lo ha accompagnato con la sua telecamera dando vita a un ritratto della vivace scena musicale di Istanbul. Critica. Se c’è un modo più conciliante per descrivere il clima spirituale che troviamo in una città affacciata verso oriente e occidente, non può essere che quello usato da Fatih Akin: fare una lunga ‘carrellata’ sul panorama musicale turco di Istanbul. Partiamo così alla scoperta di un mondo visto non attraverso le lenti e la penna di intellettuali, giornalisti e studiosi di questioni mediorientali, che negli ultimi anni prolificano sempre di più, ma navigando sulle onde sonore, da una parte e l’altra del ponte che unisce il continente europeo a quello asiatico. Una scelta che evita discorsi politici, ideologici e di religione’ e di conseguenza una scelta che evita scontri. Infatti, così come Istanbul è città d’incontro per eccellenza tra oriente e occidente, anche il film vuole invitarci all’incontro senza pregiudizi, un incontro che avviene solo attraverso l’ascolto totale: attraverso la musica. E la musica fa danzare’ sembra che il film, in questo modo, voglia invitare tutti gli spettatori, d’occidente e d’oriente, a concepire la vita come una danza, a rompere tutti i muri (culturali, ideologici, religiosi) – il titolo originale del film di Fatih Akin antecedente a questo, tradotto in italiano ‘La sposa turca’, è ‘Gegen die wand’, che significa contro il muro – e a danzare per raggiungere l’unione tra gli uomini, come dervisci che ruotano su se stessi e ricercano l’unione con dio ed ogni essere vivente. Ma più che avere quest’intento filosofico e spirituale, che va oltre ogni possibilità cinematografica, il film vuole soddisfare una certa curiosità, come può essere quella di un turista-musicista che ha programmato il suo giro (Alexander Hacke ha preparato con minuzia i suoi incontri con i vari musicisti e le band), per fare tappa ai ‘musei di musica viventi’ di Istanbul come Orhan Gencebay, Sezen Aksu, Müzeyyen Senar (i musicisti più famosi e rappresentativi della musica tradizionale turca), e anche ai ‘musei’ più piccoli e meno visitati: Ceza, Istanbul Style Breakers, Siyasiyabend.
La scelta di catturare i suoni della città in una valigia, (studio di registrazione portatile di Alexander Hacke) sta, a mio avviso, ad indicare il carattere della musica stessa che è vagabonda: viaggia e si mescola con musiche di provenienza diversa. È quindi naturale che nello spaccato della musica turca, delineato da Fatih Karin, compaia la cantante canadese Brenna MacCrimmon che canta e parla in turco e che ha riscoperto e valorizzato la musica dei rom turchi. È lo stesso clarinettista rom Selim Sesler a dirci di vergognarsi un po’ perché è stata una straniera a trattare la musica dei rom turchi come fosse un tesoro, cosa che nessuno di loro aveva fatto prima. Questo fatto ci aiuta a capire anche quanto sia importante che nel film sia un musicista tedesco a catturare i suoni di Istanbul. Così pure le inquadrature della telecamera che entra ‘invitata’, e non furtivamente, nel posto dove si trovano i musicisti a suonare (che non per forza è una sala prove’ ma è una barca, nel caso dei Baba Zula, o un hamman, nel caso della cantante curda Aynur, un vicolo o una terrazza al tramonto) sono inquadrature che accompagnano il turista-musicista e non sono invasive come possono essere quelle di telegiornali e crudi reportage, ma sono inquadrature indagatrici: girano intorno ai musicisti, scivolano nelle loro case o negli studi di registrazione rimanendo discrete, non volendo curiosare troppo come si addice a un ospite, ma stando ad ascoltare, con lo scopo di catturare e portarsi via dei souvenir da viaggio. Souvenir che allo stesso tempo ci ricordano il posto dove siamo stati e ci rammentano che quel posto per noi costituisce un mistero. È con questa consapevolezza che si chiude la valigia sonora di Alexander Hacke, che ci dice come per lui Istanbul rimanga tutt’ora un mistero. I musicisti presenti nel film sono: Alexander Hacke, che sostituisce momentaneamente la bassista dei Baba Zula, gli Orient Expressions, gruppo multiculturale, composto da due DJ di Istanbul, un sassofonista americano, un prodigio del jazz e differenti cantanti; Istanbul Style Breakers, un gruppo di giovani adepti della break dance, che dicono di voler combatter il fenomeno della droga, così diffuso a Istanbul, attraverso la breack dance; Baba Zula, che suona un mélange virtuoso di jazz psichedelico e di sonorità orientali; Duman, gruppo rock/punk turco; Replikas, che suonano rock sperimentale; Erkin Koray, considerato come il precursore del rock in Turchia; Ceza, gruppo hip-hop alla maniera degli americani di Public Enemy; Sezen Aksu, considerata la Piaf d’Istanbul; Brenna MacCrimmon, cantante di folk canadese e musica turca, che vive tra il suo paese e Istanbul; MercanDede, che mescola sapientemente musica moderna e musica sufi tradizionale; il clarinettista rom Selim Sesler; Siyasiyabend, che si consacra alla musica di strada; la cantante e musicista d’origine curda Aynur; la star turca Orhan Gencebay, che si consacra al suo strumento orientale, il saz, e infine Müzeyyen Senar, una delle ultime ‘grandes dames’ d’Istanbul.
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