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Cronache d’estate

Cronache d’estate
Agosto 14
15:40 2013

morire-foto-in-macchinaQuesto 2013 così faticoso (per tutti, pare), tra crisi economica, altalene di governo e avversità astrali individuali varie, ci ha tuttavia, almeno finora, regalato un’estate non invadente, sfuggendo alla maledizione termica degli anni in -3 (ricordiamo in molti l’incubo delle estati ’83, ’93,’03!). Non pesa troppo dunque quest’estate discreta per chi, come me, condannato a restarsene a casa, può sottrarsi ai doveri della banalità: domeniche al mare,uscite del sabato sera, vacanze obbligate! È per questo che, in clausura forzata in città, diventa una benedizione una terrazza dove gustare aria e verde senza quasi dover subire l”infestante’ presenza di altri umani.

È così che domenica scorsa, nonostante la temperatura un po’ più alta e l’ora, le 13:30, me ne stavo tra le piantine di pomodoro a spilluzzicare qualche ciliegino tra i pochi lasciatimi dai corvi (ormai subentrati in questa città a quasi tutte le altre specie avicole). Quando dalla strada sento una voce di donna un po’ rauca, non troppo forte…«aiuto, aiutatemi!» Roba da far drizzare i capelli in tempi di femminicidio diffuso! Ma il tono dimesso e la ripetitività dell’invocazione non fanno pensare ad un coltello alla gola. Incuriosita, mi affaccio da uno tra i pochissimi varchi tra il verde che ho lasciato verso l’esterno. Sotto di me c’è una donna sulla quarantina che si affanna intorno ad un’altra più anziana, abbandonata su di una sedia, vicino allo sportello aperto della propria auto. Penso: il caldo, un malore. Il bar di sotto ha offerto di malavoglia una sedia e un tovagliolo bagnato con cui la giovane tampona le tempie all’altra, senza interrompere mai quell’invocazione insistita. L’anziana, la cui testa si è rovesciata all’indietro, sopporta con pazienza e guarda a occhi chiusi verso l’alto, proprio verso di me. Ma a me, che ormai ho acquisito una certa esperienza, non ci vuole molto a capire quanto la giovane non vede o non vuole vedere. La donna silenziosa e paziente, cui il barista forzuto ha avvicinato ora un grazioso ombrellone verde, non teme il caldo dell’ora e non ha bisogno di ghiaccio o bevande; non conoscerà altre estati per fare un confronto, e vuole godere soltanto del suo silenzio. Dalle finestre intorno si è affacciata gente. Finalmente è arrivata anche un’ambulanza. Calano la barella. Ma, dalla svogliatezza che i barellieri dimostrano appena vicini, ho la conferma di aver visto giusto. La tastano alla gola, controllano gli occhi, scrollano le spalle. Poi la testa, lasciata di colpo, ricade con uno scatto secco. La giovane non vuole credere, piange: «Non è possibile, era viva…» Il ritornello stupido del signor di Lapalisse. Certo. Prima di essere morti si è vivi. Chi sa se è vero anche il contrario… se quella morta alle due del pomeriggio di una domenica d’estate, davanti agli occhi l’ultima visione di un misero bar di periferia, ora aspetta con pazienza che tutto sia sbrigato, per essere libera di andare a ricominciare altrove. I barellieri non hanno altro da fare, bevono qualcosa aspettando la pattuglia di rito; prima di risalire in macchina e andarsene hanno portato un lenzuolo, l’hanno coperta, perché resti così, chiusa in quel mistero, chinata la testa, umile e assorta nella sua morte. Qui non c’è più nulla da vedere. I curiosi chiudono le finestre. La figlia raccoglie in qualche busta quello che c’è di valore in macchina, poi si allontana. Tanto…! La morta è rimasta sola sotto l’ombrello verde, gli uomini della pattuglia, di piantone, chiacchierano tra loro. Il barista non sa se essere contento di quel po’ di animazione, che si è tradotto in qualche consumazione insperata nel deserto del giorno e dell’ora, o, viceversa, contrariato per la cattiva pubblicità che potrebbe fargli quella morta lì, proprio davanti al suo bar. Ma deve farsene una ragione, perché è soltanto due ore dopo che arriva il furgone della mortuaria: si capisce, è domenica, la gente deve pur pranzare. Anche i preti a quell’ora pranzano, chiusi nel freschino delle canoniche. Perciò non è venuto nessuno a benedire quella donna, o forse la famiglia non era religiosa. Ma io, sarà che non ho niente da fare, o che sono sola anche di domenica, resto a farle compagnia, lì dall’alto, con un ramo gentile della bougainvillea che mi ripara un po’ dal sole. E purtroppo sono ancora lì quando arriva il furgone, e due uomini in guanti di lattice blu la sollevano e la lasciano cadere senza troppa grazia sul telo cerato. Le hanno tolto il lenzuolo, e con il colpo il vestitino leggero si è sollevato fino alla vita, lascia vedere un collant pesante. Dentro, le gambe gonfie, rimaste un po’ allargate, come di bambola. Ma tanto…! Prima che richiudano la cerniera, lei distesa guarda ancora a occhi chiusi all’insù, verso l’alto. Aveva capelli biondi e lineamenti gentili, un nome che iniziava per E. Sulla sua macchina ben parcheggiata, che forse la ricorderà ancora nell’incavo leggero sul sedile di guida, è rimasto il tovagliolo che il barista si affretta a riprendere.

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