Cronaca dal divano
La nostra classe politica ci ha gratificato di una legge elettorale universalmente nota come “la porcata” o, con maggior raffinatezza, “il porcellum”. Dal giorno stesso in cui fu varata, il giudizio negativo su di essa fu unanime, e fu subito chiara la necessità di ridare all’Italia uno strumento meno ignobile per esprimere il più alto momento nella vita delle democrazie parlamentari: il voto popolare per l’elezione dei propri rappresentanti.
Sono passati anni, per anni tutti i partiti in un coro pressoché unanime, ci hanno rassicurato sulla volontà di cambiare “la porcata”, del dovere morale di cambiarla, dell’urgenza assoluta di cambiarla. Gli appelli in tal senso sono arrivati, persino in tono accorato, dal Quirinale, a sottolineare l’intollerabilità della attuale situazione. Ebbene, siamo arrivati a luglio 2012. Tra un anno scadrà la Legislatura e si dovrà necessariamente ricorrere alle urne. Nel Parlamento si fa un gran parlare dell’urgenza di adottare una riforma elettorale il cui contenuto resta ancora un guazzabuglio indigesto di modelli tedeschi, francesi, israeliani, burundesi, e chi più ne ha più ne spara. Ma c’è un particolare di cui nessuno parla, perché metterebbe la parola fine ad ogni dotta disquisizione sulle formule, e restituirebbe evidente e solare l’impreparazione, la cialtroneria e la malafede di chi ci dovrebbe guidare verso un radioso futuro. Le normative della Comunità Europea vietano esplicitamente e categoricamente la possibilità di cambiare le leggi elettorali nei paesi aderenti entro un anno dalle elezioni. Il motivo di tale divieto è evidente a tutti. Evitare che si cambino le regole del gioco all’ultimo momento solo per favorire una qualche parte politica nelle elezioni a venire. Insomma, ci terremo la “porcata”, tanto ci siamo abituati.
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