Crisi idrica a Roma: “Responsabilità evidenti, al via 4 azioni (anche legali) per fare e avere chiarezza da ACEA e Comune di Roma”
Senza dispersione idrica, oltre a maggiori incassi, non ci sarebbe crisi: i responsabili hanno nomi e cognomi, ACEA ha distribuito dividendi, ma il piano di interventi straordinari dov’è?
Mentre si assiste al consueto rimpallo di responsabilità, appare indiscutibile un fatto: a Roma la rete disperde il 45% dell’acqua. Se quella dispersione non ci fosse o fosse minima, l’incidenza dell’apporto del lago di Bracciano – oggi gravemente compromesso sotto il profilo ambientale – sarebbe assolutamente irrilevante, ed il Comune di Roma avrebbe incassato milioni di Euro in più. Una situazione derivante da una scelta politica e gestionale che costerà cara alla Capitale.
Lo stato attuale viene presentato come una fatalità naturale, ma non è così. Infatti, puntualizziamo subito alcuni elementi: che il piano di ambito ATO2 (datato 2009) prevede per ACEA, – partecipata del Comune di Roma che ne è socio di maggioranza – la necessità di interventi strutturali sulla rete. Ancora: ACEA a sua volta ha appaltato nel 2015 questo servizio per un triennio ad un ATI per la “modica” cifra di 90 milioni di euro. Infine, che la tariffa idrica, fatta pagare in bolletta, prevede a carico dell’utente finale una quota proprio per la manutenzione della rete.
Concretamente, insomma, si parla di contratti e commesse, obblighi di fare e obblighi di vigilanza che chiamano in causa molteplici soggetti, a fronte dello sfacelo di una rete che negli ultimi dieci anni non ha avuto la manutenzione che di contro era stata prevista e pagata. Inoltre, i cittadini scoprono di aver pagato inutilmente e di dover oggi subire lo scotto di una serie di inadempienze e di disagi sia alle persone, come anche al sistema commerciale e produttivo della città.
Di fronte a tutto ciò, il Cild-Centro di Iniziativa per la Legalità Democratica, OPA-Osservatorio della Pubblica Amministrazione, il Forum Terzo Settore del Lazio, AGCI Solidarietà e Coordinamento Periferie Roma ritengono inaccettabile questa situazione e preannunciano una serie di azioni immediate: 4 azioni che nell’ordine sono:
1 – una istanza di accesso agli atti per capire quali interventi siano stati concretamente messi in campo a titolo di manutenzione e investimenti della rete;
2 – una azione popolare, vale a dire un’azione legale in cui i cittadini rappresentanti delle nostre realtà associative si sostituiscono al Comune di Roma, svolgendo un’azione legale sussidiaria (secondo l’art. 9 del Dlgs 267 del 18 agosto 2000), per far valere l’eventuale inadempimento della partecipata ACEA nell’attuazione del contratto di servizio per non avere svolto (o fatto svolgere e/o controllato) l’opera di manutenzione necessaria: quindi chiedere la concreta messa in pratica del contratto di servizio;
3 – Ancora, ci impegniamo a promuovere una class action per consentire ai singoli cittadini di ottenere il ristoro del danno subito, qualora avvenisse l’interruzione per mancata manutenzione – malgrado si sia pagato per questo con apposite somme – a maggior ragione se il disservizio con il razionamento dell’acqua – si concretizzerà da stasera.
In ultimo, quarto punto,, proporremo un esposto per denunziare il danno ambientale relativo alla perdita incredibile delle tubature, tutto a carico di chi aveva l’obbligo di procedere ed, al contrario, nulla ha fatto, configurando giuridicamente un’inerzia.
In aggiunta, stante che dalle bollette dei romani ACEA ricava un utile di 70 milioni di euro, proponiamo e pretenderemo che il socio di maggioranza, il Comune di Roma, di fronte allo stato disastroso della rete di distribuzione, impegni una quota consistente degli utili per un programma pluriennale di lavori straordinari alla rete, da far votare sia dall’Assemblea Capitolina che dal Consiglio di Amministrazione di ACEA, impiegando quelle somme in investimenti strutturali ad hoc, piuttosto che dividerli tra i soci.
Siamo delusi, a dir poco, di un’azienda che della sostenibilità ambientale, della riduzione degli sprechi e dei consumi e dell’uso consapevole di un bene primario come l’acqua avrebbe dovuto farne una bandiera operativa ed invece ci consegna una situazione emergenziale.
Su questa vicenda i cittadini attivi ed organizzati, la società civile, e le nostre realtà sono in prima fila affinché davvero l’acqua sia “bene comune”, gestita seriamente ed oculatamente, ed anche in relazione al il risultato del relativo referendum a suo tempo celebrato.
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