Corsa dei tori a Pamplona: tradizione da vietare?
La città di Pamplona in Spagna è nota in tutto il mondo per la festa di San Fermín. Migliaia di persone si danno appuntamento ogni anno in questa località per vivere il rischio e l’emozione dei suoi famosi encierros, ritratti per l’eternità da Ernest Hemingway nel suo romanzo Fiesta. L’encierro è infatti la famosa corsa dei tori che ogni anno puntualmente si corre a Pamplona, in occasione della Fiesta di San Firmin, patrono di Navarra, tra il 6 e il 14 luglio. Evento che attira in questa graziosa cittadina spagnola dei Pirenei migliaia di turisti provenienti da ogni parte del mondo. In primis americani, australiani, sudafricani e neozelandesi che hanno come passatempo anche quello di gettarsi dalla cima della statua di santa Cecilia (alta 5 metri) nelle braccia della folla sottostante. I festeggiamenti iniziano col discorso ufficiale del sindaco della città e col lancio del chupinazo (razzo) dal balcone del municipio in Plaza Consistorial, a mezzogiorno del 6 luglio, e finiscono a mezzanotte del 14 luglio quando i partecipanti, vestiti di rosso e bianco, salutano la fiesta in Plaza del Ayuntamiento con una candela accesa in mano e cantando “pobre de mi” (letteralmente “povero me”). Per nove giorni le strade di Pamplona, resa famosa dallo scrittore Ernest Hemingway, che proprio all’encierro dedicò il suo primo romanzo di successo, Fiesta (Il sole sorge ancora), sono invase di giorno da centinaia di persone che corrono con i tori e di notte dalla gente che festeggia fino a tarda sera. Ma è proprio all’avvicinarsi dell’alba che l’atmosfera si surriscalda soprattutto per coloro che decidono di prendere parte attivamente alla corsa con l’obiettivo di entrare trionfalmente nell’arena, la Plaza de Toros, con un toro sbuffante alle calcagna. I meno coraggiosi (ogni anno ci sono feriti e qualche volta anche morti e si tratta sempre di turisti) si godono lo spettacolo di fronte al bar Zaldiki, in cima alla via che parte dal Coralles del Gas, dove vengono tenuti i tori, su Santo Domingo, o in uno degli anelli dell’arena, punto d’arrivo dell’encierro, dove, una volta entrati i tori, che sono spinti nei recinti dove verranno tenuti fino alla corrida della sera, uno sparo annuncia la fine dell’encierro a coloro che sono ancora nel percorso. Per accontentare la folla la vengono poi liberati i novillas ( i tori più giovani, con le corna rivestite da un’imbottitura) e per una mezz’oretta la folla dei corridori gioca al matador. Questa corsa breve ma intensa che in soli tre minuti copre gli 825 metri del tracciato si ripete tutti i giorni, dal 7 al 14 luglio. I razzi indicano ai corridori i vari momenti dell’encierro: il primo sparo annuncia l’apertura delle porte del cortile, il secondo avvisa dell’uscita di tutti i tori, il terzo (già nell’arena) segnala l’ingresso degli animali e il quarto avverte che i tori si trovano già nel loro recinto e che l’encierro si è concluso. Uno dei momenti più emotivi si tiene pochi minuti prima dell’inizio dell’encierro, quando i corridori si raccomandano a San Fermín cantando tre volte una litania davanti a una piccola immagine religiosa situata nella Cuesta de Santo Domingo. Irrinunciabile per molti anche lo spettacolo della corrida. Ogni sera se ne tiene una con sei dei tori che hanno partecipato alla corsa della giornata. Tra una corsa e l’altra immancabile una pausa in uno dei tanti bar di Pamplona dove stappare bottiglie di champagne, birra e sangria sempre che non si venga coinvolti in uno dei tanti “trenini” di persone che si formano e vanno in giro per le viuzze della città al grido di “agua, agua, agua” quando si passa sotto ai balconi delle case. Tori a parte nei nove giorni dell’encierro si tengono concerti, fuochi d’artificio, feste e balli sfrenati in puro stile movida spagnola, anche se l’attrazione principale rimangono comunque i tori che corrono per le vie della città e il fanatismo della gente. Durante le feste, difatti, tutte le mattine il centro della città è attraversato da sfilate di giganti e testoni, per la gioia dei bambini. Il programma di eventi comprende anche sagre, concerti, spettacoli di danza e ovviamente corride di tori, solitamente molto vivaci per la presenza nelle tribune di nutriti gruppi di amici. San Fermín si conclude il 14 luglio a mezzanotte, quando tutti si riuniscono nella piazza del Municipio e alla luce delle candele cantano il “Pobre de mí” (Povero me), congedandosi dalla festa fino all’anno successivo. “Non lasciarmi solo”, “Corrida è crudeltà”, “Nè tori in piazza nè vacche nel piatto”. Gli animalisti quest’anno hanno marciato pacificamente nel centro di Pamplona cantando, ballando e innalzando cartelli e striscioni che inneggiano ai tori e condannano le corride. Se i sondaggi indicano che l’amore per la tauromachia, tradizione secolare considerata parte del dna culturale del paese, è in calo in Spagna (il 58% è pronto a rinunciarvi), “los toros” rimangono molto popolari nell’estate spagnola. Quasi in ogni paesino encierros, le corse con i tori, e corride attirano centinaia di migliaia di spettatori, molti dei quali stranieri. Con un impatto economico non trascurabile, soprattutto in tempo di crisi: per l’Università di Extremadura il settore pesa 2 miliardi di euro, circa l’1% del Pil, e 200mila posti di lavoro. Il governo del premier conservatore Mariano Rajoy nel 2012 ha blindato la “fiesta” dichiarandola bene culturale nazionale, quindi protetto da possibili spinte abolizioniste. Ma dalla vittoria nel 2015 delle giunte di Podemos, in diverse grandi città del paese come Madrid, Barcellona o Valencia il fronte antitaurino è ogni giorno più potente. La Catalogna e le Canarie sono ormai corrida-free, il comune di Madrid ha tagliato le sovvenzioni al settore, l’anno scorso il fronte del no è riuscito a ottenere la fine della millenaria messa a morte con una lancia del Toro de La Vega a Torredesillas. Nelle arene e nelle corse di tori le tensioni fra taurini e anti hanno raggiunto livelli allarmanti, in una spirale di insulti, ma anche scontri e aggressioni, e attacchi personali alle famiglie di toreri morti incornati nell’arena. La Campagna animalista 2017 si preannuncia incandescente. L’obiettivo è ora di arrivare all’abolizione in Spagna, cavalcando il calo di simpatia per la fiesta – i giovani al 60% sarebbero contro – e la debolezza del governo pro-corrida di Rajoy ora minoritario. Da anni, in maniera simile alle critiche al Palio di Siena, gli animalisti chiedono la fine di questa tradizione che definiscono “barbarica”. E rispetto alla gara senese, la violenza cui gli animali sono sottoposti non è né incidentale, né non voluta. Tra le proteste più spettacolari si ricordano quelle proposte negli ultimi anni dalla PETA: la contro-organizzazione di corse di attivisti nudi. Si ripete, insomma, il conflitto fra gli elementi più folcloristici delle tradizioni europee e l’etica ambientalista/animalista che ne rintraccia l’obsolescenza e la drammaticità. Ci si chiede se sia giusto sottoporre shock psicologici e violenza fisica agli animali solo per soddisfare dei futili desideri umani. Certamente gli animali non devono essere mai maltrattati. Ritengo che non sia però giusto tagliare i ponti con delle tradizioni secolari, di cui è nutrita la nostra storia popolare, oltre che i ricordi di ogni partecipante.
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