Corruzione e cittadini
Oltre al festival di San Remo, altre due scadenze mi pare abbiano caratterizzato il trascorso febbraio: il ventennale di Mani Pulite e il pronunciamento della Corte dei Conti sulla corruzione. Bubbone che, più che mai dilagante, ci costa 60 miliardi all’anno. Cioè due finanziarie. Cioè il doppio dei sacrifici che il buon Monti ci ha imposto in cento giorni per evitare all’Italia il botto della Grecia.
Se la corruzione non scorresse a fiumi incontrastata, se cominciassimo a combatterla e, combattendola, cominciassimo a ridurla, così riducendo i costi che ci accolla, non solo riscuoteremmo alleggerimenti impositivi significativi, ma potremmo, insieme, dar mano alla riduzione del debito pubblico, che così com’è impedisce implacabilmente impieghi congrui a prospettive di crescita.
La corruzione colpisce tutti, d’ogni età, d’ogni condizione. I 60 miliardi non sono un’esagerazione di una singola mentalità catastrofista. “La corruzione sta dilagando, allarme della Corte dei Conti 20 anni dopo Mani Pulite“, “Corruzione dilagante, la Corte dei Conti: costa 60 miliardi l’anno, evasione record“. Questi i titoli dei giornali. E la Corte dei Conti è la massima autorità nazionale sulla materia, con facoltà decisiva di conteggio, vigilanza e sanzioni. Allora uno s’interroga e interroga: se esiste tale livello di controllo amministrativo, se la corruzione è tanto invasiva, perché la repressione non è adeguata? Cos’è che non funziona? Gli interrogativi non sono proprio peregrini: 60 miliardi sono 60 miliardi, per arrivarci gli spazi del malaffare non devono essere stretti, le fette di territorio compromesse non devono essere ristrette. Sicilia, Calabria, Puglia e Campania, si sa, da sempre sono strozzate dalla corruzione. Ma per arrivare a una fogna tale, deve essere coinvolta altra Italia. Il tanfo è tanto, fa schifo, soffoca.
Ti guardi attorno. Leggi. “Le mazzette non finiscono mai“. “Mazzette in piazza per smaltire i rifiuti a Pomezia, a Sabaudia in manette il capogruppo Udc, stava incassando 5 mila euro per un cambio di destinazione d’uso“. “Dopo Tangentopoli i sistemi della corruzione si sono modificati. Con varie applicazioni sembra emergere un nuovo schema: i soldi girano ancora soprattutto per l’arricchimento personale, ma al centro c’è una rete di relazioni, favori, amicizie e protezioni reciproche. Le cricche di oggi ricordano il modello delle lobby. Imprenditori e politici sono seduti sullo stesso tavolo. E insieme gestiscono gli affari”. “Record di incarichi inutili, sprechi per 4 milioni“. ” La corruzione è diffusa, decentrata e incontrollata: l’impresa paga molteplici soggetti e nessuno controlla l’esecuzione dell’appalto. Così si crea un doppio incentivo ad allungare i tempi e a lasciare incompiute le opere pubbliche. Quindi la distorsione economica è ancora più dannosa“.
Tutti i virgolettati risultano dalla stampa, riproducibili a richiesta. Da essi si capisce dove voglio andare a parare. Con queste dimensioni, può essere che la corruzione sfiori tutti, dovunque. Preciso: non insinuo che la corruzione stia qui o stia lì. Rifletto su un’altra dichiarazione : “La lotta alla corruzione è una priorità ma nessuno sembra prenderla sul serio“. Riflessione supportata da un pensiero di Carlo Maria Martini, eminente non perché cardinale, ma cardinale perché eminente: “L’accidia politica porta a una mentalità appiattita senza più alcun criterio etico di riferimento. Il livello di allarme lo si raggiunge quando lo scadimento etico della politica non è neppure più percepito come dannoso. Non dovremmo più aspettare decadenze dolorose per aprire gli occhi“.
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