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“Cooperativa di san Giuseppe”: spazio a Gennaro

Aprile 13
22:00 2011

Gennaro chiede spazio. Un grande spazio di terra libera o con una serie di capannoni già edificati. E non lo chiede in forma gratuita, ma come un investimento di utilità sociale e culturale.
Gennaro è geometra, ma quel diploma è come un mattone nello stomaco che dopo mezzo secolo ancora non riesce a mandar giù. Si è diplomato per volere del padre, ragioniere e finanziere, che voleva fare di lui un professionista a tutto tondo, con tanto di studio e titolo attaccato alla parete. Gennaro ce l’ha a morte con i pezzi di carta strappati a forza a chi vorrebbe fare un lavoro manuale e viene costretto a perseguire altre strade che non sono le sue. Gennaro voleva fare il muratore, voleva impastare calce e impilare mattoni. Già da ragazzino raccoglieva in uno smorzo vicino alla sua abitazione, a Roma all’Alberone, piastrelle e frammenti di materiali per costruirci le sue casette. Preso il diploma di geometra, e assecondato così il volere del padre, va a cercare nei cantieri il lavoro che più lo appassiona. Ma non avendo avuto una adeguata formazione fisica, l’apprendistato che forgia qualunque artigiano, si trova in difficoltà perché le sue braccia non allenate non rispondono alle esigenze della manovalanza. Gennaro tiene duro, e chiede al suo organismo più di quanto possa dargli in termini di strenua fatica quotidiana. Finché il suo medico gli dice: “O cambi mestiere o finisci su una sedia a rotelle”. E Gennaro opta per una via di mezzo, fra il costruire case e il progettarle. Apre un piccolo Colorificio a Ciampino, e intanto ristruttura appartamentini e perfino la caserma del carabinieri di Civitavecchia, “una a monte e una a mare”, dove si sente trattato con tutto il rispetto e la stima che si merita.
Quando uno ha un sogno in testa, è difficile che nella vita riesca a sgomitare per farsi largo.
E così Gennaro subisce una serie di rovesci che lo privano del reddito dell’appartamento ereditato a Roma, dalla casa presa in affitto viene sloggiato e finisce a convivere con i rumeni da una affittacamere, poi nell’ottanta cede l’attività e acquista il negozietto in cui oggi vive e ancora lavora, quando gli capita qualche richiesta che solo un artigiano come lui è in grado di soddisfare. Gennaro, nella sua attività di smussi, pratica tagli e buchi a maioliche e marmi, e la polvere che respira dice che non la sente più, e comunque è quello il suo posto e non lo abbandona. In passato i giovani di Rifondazione ogni tanto lo andavano a prelevare e gli pagavano un breve soggiorno all’Ostello di Casal dei Monaci, tanto per fare una doccia e dormire in un letto con le lenzuola, ma anche questo lusso è finito, il precariato penalizza anche le buone intenzioni. Anche se Gennaro, come fa chiaramente intendere, non capisce come ragazzi di 20, 25, 30 anni, possano farsi mettere sotto dal precariato, senza trovare proprie risorse. Lui invece di risorse ne ha tante: una piastra elettrica per scaldarsi d’inverno e per cucinarsi i pasti, una brandina rialzata addosso al bancone da lavoro che la sera diventa il suo giaciglio, una televisione da mezzo pollice sempre accesa, una campanella che quando qualcuno entra o esce impazzisce di gioia, e un viavai di amici che se non passano a salutarlo e a scambiare quattro chiacchiere non vivono una lieta giornata.
Gennaro chiede spazio con un progetto in mano e un capitale sociale di 400.000 euro, tutto quello che possiede in immobili da liberare e rendere fruttiferi: l’appartamento ereditato a Roma e il locale in viale Marino al civico 66.
Abbiamo qui il suo progetto, e ci pare assurdo che nessuno, dopo oltre venti anni, si sia reso conto dell’enorme valore della proposta. Che Gennaro così riassume: «Prendere uno spazio dai mille metri quadri in poi, non di meno, si divide in tanti spazi minori, massimo dieci, che ogni occupante pagherà in proporzione, si crea un polo per valorizzare e consolidare l’attività artigianale italiana in tutti i suoi aspetti, e i ragazzi trovano una vera scuola di lavoro». Un progetto che fila e che, se realizzato, ridarebbe smalto a una cittadina tradizionalmente operosa nel campo dell’artigianato, e forse possibilità lavorative a tanti giovani che, come Gennaro, sarebbero più portati a costruire con le proprie mani che a fare i professionisti per forza, e per giunta disoccupati.

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