Conversazione con Lilith Di Rosa
Lilith Di Rosa è stato uno dei finalisti della trasmissione televisiva Masterpiece, che, insolitamente per la Tv, si è occupata di letteratura. Pur non essendo vincitore (ha prevalso Raffaella Silvestri, con La distanza da Helsinki), ha ottenuto dalla casa editrice Bompiani ben due contratti: uno per il romanzo Russian Roulette (uscirà in autunno), che ha partecipato a Masterpiece, l’altro per un testo narrativo ancora in fieri. Un successo meritato.
Il giovane scrittore è nato nei Castelli Romani nel maggio del 1979 e fino all’età di 25 anni è vissuto a Rocca di Papa. Trasferitosi a Roma, si è diplomato all’Istituto di cinematografia Roberto Rossellini e attualmente lavora come operatore televisivo, ma torna spesso a Rocca di Papa dove vive la sua famiglia. Fin da bambino ha coltivato la passione per la scrittura e la letteratura, che lo porta a scoprire autori poco noti al grande pubblico, ma che hanno su di lui, appassionato soprattutto di letteratura americana, un’influenza significativa. Di seguito, un’intervista rilasciataci di recente.
Raccontaci il ‘dietro le quinte’ di Masterpiece. Che cosa noi spettatori non abbiamo visto? Quanto la rivalità fra voi concorrenti era autentica, sincera, e quanto era voluta, richiesta dallo spettacolo?
Non credo che un programma televisivo abbia avuto e avrà mai più, purtroppo, una tipologia così particolare di partecipanti. Chi scrive spesso non ha una pacifica convivenza con la propria componente emotiva. Dietro le quinte capitava che questa caratteristica esplodesse. Ognuno di noi ha dovuto fare i conti con le proprie fragilità e con le proprie forze, a volte inaspettate. Le personalità più affini si sono avvicinate, quelle meno stabili, come la mia, hanno finito per avere dei crolli vertiginosi che in Tv non si sono visti. Magari nell’ultima puntata a cui ho partecipato, quelli con un occhio più fine o semplicemente quelli che mi conoscono hanno percepito il mio stato di caos. Per la rivalità, la parte di spettacolo che ci era richiesta, il tempo ha cancellato i particolari, lasciandomi come la sensazione di essere un reduce che ha dimenticato i colori delle divise altrui, e avverte solo un affetto cameratesco verso chi, con me, ha condiviso un’esperienza irripetibile.
Parliamo del tuo romanzo Russian Roulette. Prova a darcene un’idea e dicci quanto viene dalla tua esperienza personale. C’ è un personaggio nel quale ti identifichi?
È un libro di formazione o, se volete, di de-formazione, terminato qualche anno fa. Un libro che scruta nell’animo del protagonista, che si trova ad affrontare il fatidico momento del passaggio da giovane a uomo, senza la volontà di crescere e senza averne la capacità, affrontando le proprie insicurezze, affrontando relazioni sentimentali, affrontando discorsi complicati come l’amicizia e il mondo del lavoro. Tutto questo in una città straordinaria come Amsterdam. Il protagonista prende le basi dal mio vissuto. Nei momenti in cui si spinge l’acceleratore, invece, ci sono molte componenti di fantasia.
Prima di lasciar ‘andare per il mondo’ un tuo scritto, lo fai leggere a qualcuno, chiedi pareri, consigli, o segui solo il tuo giudizio, il tuo istinto?
Non ho una regola fissa. In linea di massima non faccio leggere le mie cose praticamente a nessuno; poi ci sono tante varianti: alcune ragazze che mi hanno accompagnato durante Russian Roulette hanno letto spezzoni del libro.
Come è nata la tua passione per la scrittura?
La passione per la scrittura è nata di pari passo con quella per il cinema e per la musica. Nascono da un bisogno naturale di scoprire mondi altrui; nascono dal bisogno quasi fisiologico di esprimere le proprie emozioni, la propria visione delle cose; nascono soprattutto dalle domande prive di risposte che si hanno nella vita, dall’infinità di dubbi che mi ha sempre accompagnato.
Hai dei romanzi del cuore? Quale romanzo o saggio dell’Ottocento porteresti nella solita isola deserta e quale dei moderni?
Ne ho tantissimi, di romanzi, nel cuore, che cambiano come importanza durante i vari stadi della vita. Ora mi vengono in mente Una vita, il primo romanzo di Italo Svevo, uscito nel 1892; poi Il primo dio, di Emanuel Carnevali, mi pare uscito postumo. Carnevali è un autore che non mi stancherò mai di nominare, almeno per fare in parte giustizia a uno scrittore che in vita non ebbe mai pace e che non sarà mai riconosciuto per il genio che è stato.
Il secondo romanzo è terminato? Vuoi darcene un’anticipazione o facciamo silenzio per scaramanzia?
Ho scritto diversi racconti e inizierò presto il nuovo romanzo, però, per scaramanzia preferisco non parlarne.
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