Convegno interreligioso a Palazzo Chigi – Ariccia
Proprio in difficili momenti di dialogo e di attrito tra i diversi Credo religiosi, emerge forte il bisogno di confronto, di apertura all’altro, di dibattito interculturale. Vous n’aurez pas ma haine (Voi non avrete il mio odio): apre così la locandina dell’evento organizzato dal Museo delle Religioni “Raffaele Pettazzoni – Mediazione culturale e Dialogo interreligioso nell’Età dei Fondamentalismi, svoltosi alla presenza delle Autorità cittadine e culturali del territorio, il 6 febbraio ad Ariccia in un’antica sala di Palazzo Chigi. Presenziato da Maria Paola De Marchis, presidente della Fondazione, coordinato da Igor Baglioni, nella Prima Sessione e da Mustafa Cenap Aydin nella seconda, l’interessante evento ha visto coinvolti, in più riprese, professori universitari ed esperti, ciascuno dei quali ha apportato un personale contributo al dibattito. Quanto emerso porta a considerare quanto sia necessaria un’attenta riflessione e un’attività educativa familiare e scolastica che trasmettano valori e interazione con l’altro. Vanno gestite dinamiche che consentano un avvicinamento tra popoli di diverse culture, scambio di idee, pensieri, un’apertura all’altro anche nella mentalità. Illuminante l’esempio del professor Cipriani: un suo interlocutore arabo si chiedeva, una volta, se in tutte le chiese cattoliche del mondo si celebrassero le stesse funzioni religiose esattamente negli stessi momenti, ben scanditi nei tempi e nei gesti come avviene nelle religioni islamiche. Occorre far tabula rasa per capire l’altro, sospendere i propri punti di vista. Mettersi nei panni di … è il primo passo per considerare l’altro Persona, è un mettersi a disposizione dell’altro per capire chi è. E noi viviamo in un territorio come quello dei Castelli Romani, con un’identità culturale forte che ci caratterizza: la nostra memoria storica fa luce su antiche religiosità pagane, da Diana Nemorense a Giove Laziale. Proprio nella romanità del passato c’era accettazione dell’altro come identità religiosa diversa. È importante riconoscersi in una identità dinamica, non statica, favorire l’empatia e sapersi porre in ascolto dell’altro, che è diverso da me, ma io ho bisogno di lui, come lui ha bisogno di me: in questo senso l’identità deve porsi a livello di dinamismo relazionale, non essere statica. Infatti, il mio essere IO ha bisogno del TU e occorre ripensare a un Dio che non può essere solo Mio, ma di tutti. E qui è importante la mediazione culturale che consenta un dialogo interreligioso: di nuovo, nel corso del Convegno, il nostro territorio viene citato come “multistrato” nel quale simboli, reperti, templi arcaici ci parlano di un percorso religioso nel tempo, dal paganesimo al cristianesimo.
È importante prendere coscienza che va favorito un atteggiamento che possa contrastare un’intolleranza dalla quale facilmente scaturisce l’odio, vissuto che parte dalla rabbia e dalla paura dell’altro visto come minaccia. L’odio è figlio della non conoscenza: di qui la necessità e l’importanza dell’educazione che incida e canalizzi in modo positivo modelli affettivi e aspetti culturali. Conoscere l’altro porterà alla sua accettazione e favorirà un processo di integrazione. Necessario quindi educare all’empatia, al sapersi mettere nei panni dell’altro, pur mantenendo la propria identità.
Conoscere e educare alla cittadinanza, consolidando attività di incontro; favorire nelle scuole progetti che aiutino a conoscere e dialogare con l’altro è costruire la pace: è necessario avviare percorsi che conducano alla non violenza, favorendo l’accettazione e lo scambio; cercare di comprendere, senza timori e riserve altre realtà culturali e religiose, interagendo con l’altro. Riflettiamo tutti con quanto Daniela Di Renzo al termine del suo intervento sull’empatia, ci ricorda citando Fritz Perls, autore della
Preghiera della Gelstat
“Io sono io. Tu sei tu.
Io non sono al mondo per soddisfare le tue aspettative.
Tu non sei al mondo per soddisfare le mie aspettative.
Io faccio la mia cosa. Tu fai la tua cosa.
Se ci incontreremo sarà bellissimo;
altrimenti non ci sarà stato niente da fare.” . Rita Gatta
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