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Consenso informato necessario

Consenso informato necessario
Novembre 19
12:33 2015

Si fa riferimento al caso di una donna sottoposta a un’operazione chirurgica al fine di asportare una cisti ovarica. Nel corso dell’intervento però viene rilevata la presenza di un adenocarcinoma, che induce i medici ad effettuare un’operazione radicalmente diversa da quella che era stata programmata e per cui era stato ottenuto il consenso. A seguito dell’intervento la donna si reca addirittura in Francia per farsi visitare e riceve come diagnosi quella di un tumore benigno, il che la fa dubitare circa la necessità del precedente intervento, con tutte le conseguenze sul fisico che aveva determinato. Infatti la presenza dell’adenocarcinoma aveva spinto i medici ad effettuare interventi molto invasivi quali laparatomia, isteroctomia totale, anessectomia bilaterale, appendicectomia e omentectomia, con conseguenti difficoltà sulla funzionalità fisica della paziente.

Ora la giurisprudenza ritiene che in presenza di un intervento terapeutico necessario e correttamente eseguito,da cui siano derivate conseguenze dannose per il paziente, il medico, che non ha assolto all’obbligo informativo, può essere chiamato a rispondere dei danni se il paziente dimostra che avrebbe rifiutato l’operazione se fosse stato debitamente informato. In realtà seppure in mancanza di lesioni alla salute del paziente, la risarcibilità del danno è prevista anche per la sola violazione del diritto di autodeterminarsi, il che è sicuramente rinvenibile nell’ipotesi in questione. Poiché si era al di fuori del caso d’urgenza dell’intervento, il non aver informato la paziente sul suo stato di salute,le aveva negato la possibilità di rivolgersi a un altro medico o a un’altra struttura sanitaria.

Non solo, in tal caso sussiste anche la lesione alla salute poiché, in virtù della diagnosi dedotta, sarebbe stato possibile un intervento meno invasivo e meno doloroso. Sostanzialmente quindi alla ricorrente era stata negata la possibilità di autodeterminarsi e quindi di decidere se sottoporsi o meno all’intervento, la possibilità di riflettere con calma su una scelta così importante, l’eventualità di farsi operare presso altre strutture ed eventualmente fare l’abitudine con l’idea di subire interventi cosi lesivi, per poi consentirli. Comprensibile quindi il trauma fisico e psichico della paziente che a seguito dell’intervento non solo si ritrova con un corpo completamente diverso e con la sorpresa di una diagnosi inaspettata, ma viene anche ammorbata dal dubbio se quell’intervento era stato davvero necessario al punto tale da sostenere un viaggio in Francia per farsi visitare ulteriormente. A nulla vale il fatto che nell’autorizzazione per l’intervento chirurgico di asportazione della cisti si trovasse scritto “Acconsento inoltre ad un’eventuale modifica del suddetto intervento qualora ciò fosse necessario per la tutela della salute”, in quanto il concetto di “modifica necessaria per la salute” risulta generico e inidoneo a configurare il consenso informato. Il concetto di modifica infatti può riguardare la tecnica dell’intervento autorizzato ma non anche l’estensione ad altri organi o parti della persona. Anche quando si fa riferimento alla necessarietà dell’intervento si esprime un concetto indeterminato poiché la modifica può essere necessaria ed urgente oppure necessaria ma non urgente ed in tal caso aver fatto esprimere un consenso del genere sarebbe inutile, in quanto appunto non riconducibile al consenso consapevole ed informato. Il consenso fornito dalla ricorrente viene quindi considerato inesistente. Esso era infatti riferito all’operazione relativa all’asportazione della cisti ovarica e non anche all’intervento successivo ben più invasivo ed invalidante.
Cassazione civile sezione III, sentenza 12205/2015

Maria Elena Coletti

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