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Congo, una guerra dimenticata – 1/2

Febbraio 15
23:00 2011

La storia del Congo è fatta di violenza e di sfruttamento: «in Congo, si narra con amarezza che nella creazione del mondo Dio girava con un vassoio contenente minerali di ogni tipo e ne distribuiva un po’ ad ogni paese: un po’ di diamanti a questo, un po’ di ferro a quest’altro, un po’ di rame a quest’altro ancora e così via; arrivato sopra il Congo, il vassoio si rovesciò e fu così che il territorio congolese si ritrovò con tutte le ricchezze possibili e immaginabili» (Jean Leonard Touadi). Questi minerali di cui parla la leggenda sono stati fondamentali per lo sviluppo industriale dell’Europa. Non è infatti possibile immaginare un balzo economico di questa portata senza considerare che gli europei ricorsero alle materie prime provenienti dall’Africa e dall’America Latina, ma soprattutto dal Congo, che, da solo, ha generato la ricchezza del Belgio. Il territorio congolese è così ricco di risorse minerarie da essere stato definito uno “scandalo geologico”. Tuttavia, proprio ciò che avrebbe potuto rappresentare un’enorme possibilità di sviluppo, per questo paese africano, si è rivelato una trappola mortale. La Repubblica Democratica del Congo, grande otto volte l’Italia e con uno dei tassi di natalità più alti dell’Africa, oggi vive in una situazione di insicurezza generalizzata, nella carenza di infrastrutture, sotto il ricatto della violenza e della corruzione. La realtà congolese è lacerata da anni di guerre, invasioni, sfruttamento e di povertà, eppure, la foresta equatoriale che si estende intorno al fiume Congo, seconda per grandezza solo a quella Amazzonica, custodisce circa il 35% del patrimonio di biodiversità del pianeta. Oltre alle ricchissime miniere d’oro, di diamanti, di zinco, di stagno, di cobalto, in Congo si trovano giacimenti di coltan, una lega usata nell’industria aerospaziale, in quella informatica e per fabbricare i telefoni cellulari. Dalla Conferenza di Berlino del 1885, che sancì la spartizione dell’Africa, fino all’indipendenza del Paese del 1960, Leopoldo II, re del Belgio, attuò una politica di intenso sfruttamento che causò 9 milioni di morti. Nel 1961, le speranze dei congolesi, che credevano di aver trovato un nuovo messia che li avrebbe riscattati, furono infrante dall’assassinio del presidente Lumumba, avvenuto il 17 gennaio di quell’anno. Nei trent’anni di dittatura che seguirono, il colonnello Mubutu gestì le ricchezze del Paese come fossero suoi beni personali, nell’indifferenza della comunità internazionali. Con lui al potere, le poche infrastrutture costruite dai belgi (scuole, ospedali, università) andarono disperse. Dalla fine degli anni novanta il Congo è stato insanguinato da due guerre civili. La prima, costrinse Mubutu a lasciare il potere, nel 1997. La seconda, l’anno seguente, fu interregionale e assunse proporzioni tali da essere definita “la guerra mondiale d’Africa”, perché coinvolse gli stati confinanti del Burundi, del Ruanda e dell’Uganda, i quali appoggiarono le ribellioni indipendentiste delle regioni orientali, finite in mano ai signori della guerra. Si trattò di uno dei conflitti più cruenti che abbiamo mai straziato l’Africa che, di fatto, non è mai finito nonostante sia stato dichiarato ufficialmente concluso nel 2002. La popolazione della parte orientale del Paese, negli ultimi anni, è stata costantemente vittima dei combattimenti tra le fazioni armate, ma ancora di più, dei saccheggi, degli omicidi di chiunque fosse in possesso di un’arma, costretta a sopravvivere in una realtà governata dal caos, dove non esistono più né leggi né diritti. Nonostante che dal 1999 in Congo sia presente il MONUC, la forza speciale incaricata dall’ONU di proteggere i civili e di avviare il processo di pacificazione, questa non è riuscita ad evitare i massacri. Si calcola che nella sola regione di Kivu, al confine col Ruanda, negli ultimi due anni, il 70% della popolazione sia sfollata. A contendersi il controllo di quest’area sono diversi gruppi armati, alcuni dei quali appoggiati dalle potenze occidentali. Dal 28 agosto 2008, inizio dello scontro tra l’esercito regolare congolese e i ribelli del CNDP (Consiglio Nazionale per la Difesa del Popolo) guidati dal colonnello Nkunda, si sono formati un 1 milione e seicento mila nuovi profughi, scappati verso i campi allestiti intorno alla città di Goma, contenenti già un altro milione di sfollati. Oggi la situazione è ancora critica nonostante l’arresto di Nkunda nel 2009 e l’accordo tra le forze congolesi e ribelli, mediato dal Rwanda, del marzo 2010. A fare le spese dell’assoluta mancanza di garanzie e di sicurezza continua ad essere la popolazione inerme. Soprattutto donne e bambini. Secondo il rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, milioni di persone continuano a subire aggressioni da parte di diversi gruppi armati. La violenza sulle donne viene usata come arma per terrorizzare la popolazione dell’Est. Colpisce indistintamente bambine, donne giovani e anziane, allo scopo di trasmettere il virus dell’HIV e mutilare così le comunità. Dal 1998 a oggi, le vittime di stupro nella regione di Kivu sono state più di 30 mila. Nel 2008, l’ONU ha inserito lo stupro di guerra tra i crimini contro l’umanità. I bambini vengono rapiti mentre vanno a scuola o durante le scorrerie di bande armate di saccheggiatori di villaggi. Poi vengono impiegati come soldati nei conflitti a fuoco, torturati e mutilati nei campi di prigionia come prova di forza contro le fazioni nemiche. Il Congo del resto è un paese giovane, dove su 62 milioni di abitanti circa la metà sono bambini. L’Unicef, che insieme ad altre associazioni umanitarie si occupa del ricongiungimento familiare, calcola che dal 1998 ci sono stati 33 mila casi di rapimento accertati. A questi si aggiunge anche un “esercito di bambini di strada”, abbandonati e poveri che, solo nella capitale Kinshasa, sono 13.800. (Continua)

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