Conversazioni
Mercoledì 18 giugno mi trovavo a Roma per una commissione. Scesa dal treno e uscita dalla stazione Termini mi dirigo al capolinea per prendere il 92, e all’altezza del Museo Nazionale Romano vedo una specie di enorme mongolfiera eretta in mezzo al traffico, circondata da mezzi meccanici, operai solerti come formiche e rappresentanti vari dell’ordine pubblico.
Mi sono avvicinata incuriosita alla piazzola transennata che ospitava l’oggetto alieno, alto come una casa a due piani, e mi sono trovata davanti ad una magnifica aiuola recintata di rose gialle in boccio o appena sbocciate, e il pratino all’inglese ancora in fase di allestimento rigoglioso sotto il getto gentile dell’irrigatore. Gli operai lavoravano a testa bassa, a cottimo serrato, senza intralciarsi, precisi e sincronizzati come un orologio svizzero. Vigili e poliziotti facevano i vaghi, c’erano ma senza troppo pesare con la loro presenza. I curiosi come me giravano in tondo cercando di raccapezzarsi ed evitando di fare domande che chissà perché sembrava meglio non fare. Di fronte all’aiuola in prodigiosa fioritura un palco chilometrico bardato di rosso e gente indaffarata con casse e microfoni per le prove audio.
“Damose da fa’, semo romani!” recita un grosso cartellone pubblicitario con l’immagine di Wojtyla tutto sorridente, e sotto riporta l’annuncio che oggi, giorno della nascita del papa, si chiudono i festeggiamenti per la sua beatificazione.
Torno ad aggrapparmi all’aiuola transennata e con un giovane operaio che sta mettendo a dimora un pezzo di pratino scambiamo qualche battuta, tipo: «Ma che miracolo, questo meraviglioso giardino fiorito in una notte!», «Eh, quando c’è di mezzo la Divina Provvidenza tutto può succedere!» e il ragazzo mi conferma che sotto il megatendaggio c’è un dono per Giovanni Paolo II, di che natura è ancora un mistero, e comunque basta aspettare le 16:00 e tutto ci apparirà chiaro. Ecco infatti il manifesto che conferma l’orario dell’inaugurazione di quella che dovrebbe essere una statua (ma di che forma, ma con quali proporzioni, né busto né figura intera, forse Sua Santità in levitazione, già fatto Spirito?) e a seguire il concerto “Memoria e Gratitudine” sul palco dirimpetto.
A malincuore mi stacco dalle transenne dove le rose gialle stanno tutte pompose a farsi la doccia sotto la pioggerella artificiale, e gli operai lavorano sodo come mai si è visto lavorare i comuni operai, e lascio piazza dei Cinquecento con il rammarico di non poter restare fino al momento dello scoprimento per vedere “cosa c’è sotto”, ma lo vedrò stasera al telegiornale. Una cosa è certa, non mi piace che chiunque arrivi a Roma passando per la stazione Termini, la prima cosa che troverà ad accoglierlo sarà l’ingombrante omaggio a JPII, in una Repubblica come la nostra ricca di Padri della Patria tutti da onorare. Senza nulla togliere a Giovanni Paolo II, da noi tutti amato e rispettato, e che forse – potendo decidere Lui – non avrebbe scelto tale ubicazione per essere ricordato, avendo a disposizione un intero Stato. Quello del Vaticano. Poi, quando si è visto cosa c’era sotto il lenzuolone bianco, è scattata l’indignazione per l’affronto fatto a un papa che tutti ricordiamo per la sua umanità, ridotto a una casamatta squarciata, con in cima l’abbozzo di quella che vorrebbe essere una testa (la testa di un grande Capo) e appare invece come una palla da biliardo lanciata per sbaglio sopra cinque metri di bronzo. E meno male che l’opera di Oliviero Rainaldi, scultore forse incompreso, certamente con strane interpretazioni di quello che può essere un dialogo – principio fondante del pontificato di Wojtyla – s’intitola “Conversazioni”. E come si potrebbe dialogare con qualcosa di inumano e orrido che torreggia come un cattivo presagio?
A due passi da lì, al Largo di Villa Peretti, il degrado più infame ricopre l’area destinata al Monumento dei Caduti di Dogali, terra bruciata dove tante vite si consumano nel silenzio complice della città caput mundi, mentre i city buses Tour Tricolore e Roma Cristiana fanno la spola carichi di turisti assetati di bellezza e di storia.
Qui le aiuole sono fatte di terra battuta e cartoni, giaciglio per tanti disgraziati che non ricordano nemmeno più cosa sia un tetto e un letto, e forse, quando si renderanno conto della grande capacità di accoglienza e protezione (e non solo dalle intemperie) che può offrire la scultura di Rainaldi dedicata al Santo Padre, decideranno di trasferirsi dentro il grande involucro. Sempreché l’omaggio non torni al donatore o cambi sede, a furor di popolo.
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