“Come stai?”
Giorni fa al mercato mi hanno chiesto “come stai?” due sole parole, senza congiunzione e senza pronome e non il solito “come ti vanno le cose?” e da allora ripenso a questa domanda. Due parole, semplici ma che nascondo interessamento e manifestano l’intento dell’interlocutore ad ascoltare perché sanno che nella vita dell’altro potrebbe non essere tutto rose e fiori.
Il “come stai?” differisce dal “Tutto bene, vero?” anche se potrebbe essere interpretata nello stesso modo. Nonostante la somiglianza quanti di noi si sentono di poter esporre i proprio guai ad un “come stai?” piuttosto che ad un “tutto bene, vero?”. Non vi è mai capitato di dire “sì, sì, tutto bene” ma di voler dire invece “no, non va tutto bene” ?. A questo punto mi domando se sia un semplice intercalare il “tutto bene vero?” o il “ti trovo bene, vero?”. Ed è la semplice paura di guardare dentro noi stessi che non ci fa chiedere “come stai?”, il narcisismo e l’autoreferenzialità.
Quello che voglio dire è che a volte si potrebbe andare oltre a quella che Heidegger definiva “chiacchiera quotidiana” ed essere predisposti quando si fa una domanda ad ascoltare anche risposte impegnative che potrebbero lasciarci impreparati. Perciò il tutto bene vero nasconde «Dimmi che va tutto bene, perché chiedendoti come va ho solo espletato un obbligo esteriore di tipo sociale e non ho tempo né voglia di fermarmi. E se le cose ti vanno male, tanto peggio per te; ma non venirmelo a dire: ciò mi costringerebbe a fermarmi e ad ascoltarti, cosa che non ho voglia di fare e che non m’interessa minimamente». Se chi ha raggiunto al pace interiore fosse un po’ meno egoista e aiutasse anche gli altri al raggiungimento dei propri obiettivi forse non si parlerebbe solo di crisi di valori e di persone sole. Quando noi domandiamo a qualcuno se stia bene, quando ci interessiamo di come egli stia veramente e lo facciamo non in maniera formale, per semplice galateo o per un automatismo sociale, ma per autentica sollecitudine e per una forma di compartecipazione, dietro le apparenze di un gesto o di una frase apparentemente comune e quasi banale, in realtà abbiamo creato le premesse per un rapporto autentico fra l’io e il tu, che nasce dalla simpatia e dalla capacità di ascolto. Abbiamo compiuto una operazione che dovrebbe essere abituale e spontanea, ma che – immersi come siamo nella società dell’ego ipertrofico e della chiacchiera insulsa, sta diventando quasi eccezionale: quella di porre l’altro. Perciò l’invito che faccio è chiediamo almeno una volta al giorno con sincera partecipazione e autentica benevolenza “come stai?” e fermiamoci ad ascoltare la risposta.
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