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Come rumore di carta sfogliata

Aprile 22
13:45 2011

Sento e vedo migliaia di persone, di ogni colore e nazione, diagnosticare terapie politiche e sociali per stabilizzare diritti e democrazie in paesi dilaniati dalla ferocia della povertà, dall’ingiustizia oramai globalizzata, che non sottrae religioni e dèi dal taglione del “mors tua-vita mea“. Guerre e stragi, uomini in armi e bambini depredati di ogni sorriso, terre divise e derubate dei propri confini, inni alla pace gridati a tempo di musica, e richieste di giustizia licenziate con qualche parola travestita di compassione.
L’Africa è in fiamme, il Medio Oriente tra le macerie, persone in marcia per la pace, altrettante in guerra per difenderla, altre circondate e maltrattate, per distribuire equamente il residuo di giustizia.
Specialisti in relazioni spediti qui e là, equazioni e sottrazioni della comunicazione a supporto delle percentuali e delle statistiche, tutte ben contenute nella negazione del dato esponenziale, che accerta l’odio e la vendetta covare sotto il primo strato di pelle, che non si vede, ma si muove sotto carico, pronto a esplodere a ogni nuovo giorno.
Scacchieri e pedine si muovono lentamente intorno a paesi dimenticati, città violentate, popolazioni abbandonate in confini inventati e frontiere frantumate. Il Far West non è poi così lontano, moltiplicato per mille, nelle sue nefandezze inenarrabili. Neppure l’immaginario collettivo riesce a delinearne i contorni, la proporzione di quelle macchie, sagome indistinte, ma in continuo spostamento, il tremore della terra, al suo avanzare e ritrarsi. Poi, ecco improvvisi i colpi sordi, come i cannoni di ultima generazione, botti ripetuti, alle spalle, tra le scapole, in mezzo agli occhi, a liquidarne lo zoccolo, quello più duro, fino a estinguerne lo sguardo in alto, la fierezza ridotta a souvenir di tanti uomini stanchi delle catene e dalla costrizione a un silenzio disperante.
Le nazioni, i paesi, le città, ridotte a periferie di oggi, sono un ricordo sbiadito delle democrazie di domani, schiacciate dalle tante parole che sono state dette, dalle recinzioni che sono sopravvenute, costruite a misura per non ascoltare. Ma a ben pensarci, delle libertà di ieri, ne rimangono pochi limpidi esemplari, ma ci sono ancora, per non farci cadere all’indietro, nel vuoto della memoria. Pochi esemplari-riferimenti certi e in bella vista nella prateria dimenticata, a sfidare i fucili, i tanti cuori pavidi, i governi dell’insignificanza sociale, dei poteri esposti controvento, per meglio difendere la propria inadeguatezza.
Come ho scritto tanto tempo fa, le nazioni dei bisonti non esistono più, bivaccano in una sorta di grande letteratura, intorno c’è il rumore della carta sfogliata controvoglia, dentro la noia più impaziente, pagine di storia sradicate dalla miserabilità umana. Da questa maledetta solitudine del sangue, i tanti e troppi paesi in guerra, gli stati coinvolti per diffondere la pace e la democrazia, dovrebbero imparare qualcosa di più davvero da questa assenza, divenuta presenza costante, un insegnamento a non dissolvere l’opportunità della riflessione (ancor prima dell’azione), quella che parte dal cuore, per sentire davvero il bisogno e la necessità di una libertà che appartenga a tutti, indipendentemente dalla religione e dal portafoglio che ognuno professa.

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