Come giocare con la Storia in quaranta secondi
Difficilmente da vivi avrebbero messo a disposizione i propri volti per un messaggio pubblicitario, fosse pure una ‘pubblicità progresso’. Da morti, Jesse Owens e Martin Luther King sono diventati ignari testimonial di grandi società multinazionali come Telecom Italia e Fastweb. Ai ventenni di oggi forse sarà piaciuta la clip, stile MTV, col reverendo di Atlanta e quel suo incalzante e reiterato I have a dream col quale concludeva la ‘Marcia su Washington’ nell’agosto del 1963, nel bianco e nero smaltato e intrigante delle grandi occasioni.
In onda fino ad aprile inoltrato, lo spot era diretto in primo luogo a loro: sono tutti giovani quelli che, imbracciando telefonini e computer, si scambiano messaggini sognando in questo modo di cambiare il mondo. Rivederlo per credere: la camerierina trasognata in una tavola calda, il pugile arrabbiato, il marinaio sull’autobus, belli, levigati e impossibili come certi personaggi di Fassbinder, tutti con il telefonino di ultima generazione e a dir poco seriamente decisi a voler rivoltare come un guanto la condizione umana, la loro e la nostra. Una rivoluzione. A pagamento. Una rivoluzione a pagamento e col sorriso sulle labbra. Non è tanto l’impiego del misurato reverendo, figurina funzionale in questo caso, ma ormai sbiadita nel nostro immaginario e sovrastata da ben altre peggiori vicende, a scandalizzare o impensierire, quanto l’idea suggerita, molto WASP ma anche molto strampalata, che oggi ognuno è padrone del proprio destino, solo se con un telefonino in mano. Ed ecco allora che i telefonini, Internet, i social network e le nuove tecnologie in generale vengono rappresentate, e non da oggi, come la nuova frontiera della Libertà, l’àncora di salvezza delle ‘rivolte’, almeno quelle gradite, per la facilità con la quale sembrano scavalcare le montagne e gli oceani, come un moderno Mayflower, collegando incessantemente il pianeta e le persone che ci vivono, come se queste ultime non aspettassero altro che connettersi e congiungersi a go-go. Tutto ruota sul concetto molto elastico di libertà: libertà di comunicare (ma cosa?), libertà di connettersi (a chi?), libertà di vivere (come?). Parole d’ordine molto semplici da assimilare e introiettare. Connessi per sempre, at last! Ma l’incongruenza è dietro l’angolo: il turbocapitalismo trionfante con tutti i suoi annessi e connessi (come la Pubblicità, motore e anima del commercio), demolitore del welfare, dello stato sociale e dei diritti, si fa latore (esso stesso!) di una istanza di libertà, ma di una libertà pilotata e artificiosa, vigilata e compressa nell’angusto perimetro di uno spot di quaranta secondi. In quei quaranta secondi le immagini, la storia, le parole di Martin Luther King, già di per sé blande e accomodanti all’epoca in cui furono pronunciate, vengono in un modo sottilmente inafferrabile ancor più depotenziate e annegate in una poltiglia di melassa, e i corpi manovrati a proprio piacimento. La Storia riscritta dai vincitori, senza un prima né un dopo, ci viene così restituita conciliata e accessibile a tutte le tasche. I conflitti dissolti come neve al sole. Le croci infuocate del Ku Klux Klan, che per molti anni hanno illuminato le notti dell’Alabama e di molti altri stati del sud sono rimosse, i nigger prima linciati e poi impiccati rimangono sullo sfondo, ancora una volta come confusi e indistinti fantasmi, derubricati ad incidenti di percorso per il bene e la grandezza della nazione. Flebile e impercettibile pure l’eco dello sparo che uccise King. La ‘Marcia su Washington’, lucidamente bollata come ‘Farsa’ da Malcolm X per quel suo fragile ecumenismo dall’inconfondibile sapore parrocchiale, per quel suo messaggio di pace così palesemente impraticabile nei fatti, assurge nella finzione e nei freddi calcoli monetari della ‘Telecom’ ad exemplum di coscienza civile fintamente condivisa. Ad un comune sentire, tuttavia limpidamente piegato alle esigenze commerciali della compagnia telefonica. La ‘libertà di chiacchiera’ sui treni, in metropolitana e per strada, che ci viene gentilmente offerta e della quale nevroticamente ci serviamo, alla fine si paga. Si ammanta di contenuti ‘alti’ e accettati da tutti, ma si paga. Nella nostra sempre più incerta memoria passano in secondo piano l’arresto di Rosa Parks a Montgomery, i cani-poliziotto lanciati contro i ragazzi di colore, le bombe nella chiesa di Birmingham che uccidono quattro bambine, gli omicidi mirati degli attivisti di colore e il ‘Bloody Sunday’ a Selma. Tutto si fa indistinto e melmoso. Lo spot con la figura del buon pastore che ci è stata ammannita da ‘Telecom’, strizza l’occhio ai nostri vuoti di memoria, fa affidamento sulla nostra incapacità di leggere e decifrare le immagini, su un analfabetismo di fondo verso le stesse immagini. E approfittando dello smarrimento, ideologico e morale nel quale versiamo, suggerisce alle nuove generazioni che ogni ‘rivolta’, per partire, ha bisogno di una SIM.
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