Come cambierà la Carta costituzionale
Con l’approvazione della riforma della Costituzione (se non ci saranno modifiche nei successivi passaggi parlamentari) e in base al progetto di legge elettorale denominata Italicum (che deve però essere ancora discusso e approvato) cambia la forma dello Stato. Vediamo come. Non ci sarà più il pluralismo nella futura rappresentanza politica, poiché i piccoli partiti verranno fatti fuori dalla Camera dei deputati con soglie di sbarramento molto alte. Non sarà più garantito l’equilibrio tra i diversi poteri costituzionali.
È previsto più potere al Governo del premier a discapito degli altri organi costituzionali: Parlamento, Corte costituzionale, Consiglio superiore della magistratura e Presidenza della Repubblica. Infatti, grazie al superpremio di maggioranza, il primo partito con appena il 35% dei voti potrà conquistare il 55% dei seggi ed eleggersi: il Capo dello Stato, 10 giudici su 15 della Corte costituzionale, i magistrati laici del Csm e le Authority. In tal modo si determinerà nel Paese più dipendenza dal potere politico del partito più forte.
Secondo la legge elettorale Italicum la Camera dei deputati continuerà a essere eletta dai cittadini con le liste bloccate, senza possibilità di indicare una o più preferenze. I parlamentari dissidenti saranno fatti fuori dalle liste, per far posto a persone che non rivendicheranno libertà di coscienza al momento del voto in aula e che saranno più fedeli alla disciplina di partito. Il giudizio dei parlamentari non si dovrà formare in aula con il confronto e il dibattito fra le diverse forze politiche, ma prima, all’interno del partito. Il voto dovrà corrispondere appunto a quanto già deciso dal partito, da verificarsi con il voto palese.
Il Senato invece non sarà più elettivo e sarà composto da 100 senatori scelti dai Consigli regionali. Sarà formato da: 21 sindaci, 74 consiglieri regionali, che scadranno con le rispettive giunte, e 5 senatori di nomina del Presidente della Repubblica che dureranno in carica sette anni. Tutti i senatori godranno di immunità parlamentare e di rimborsi spesa. Non dovranno più votare la fiducia al Governo né la legge finanziaria, ma parteciperanno alla legislatura in tema di enti locali, di Unione Europea, di tutela della salute e diritto di famiglia. Potranno inoltre scrivere pareri e avanzare rilievi sulle leggi in discussione alla Camera dei deputati, che non avrà l’obbligo di tenerne conto. Se il Governo poi indicherà come “prioritari” alcuni disegni di legge, sia la Camera che il Senato li dovranno votare senza emendarli.
È previsto più potere allo Stato centrale, rispetto alle Autonomie locali, che potrà invocare la ‘clausola di supremazia’ su alcune materie condivise con le Regioni, come l’energia o le grandi opere infrastrutturali. Scompariranno le Province. Con il maggiore centralismo – assicura Matteo Renzi – si potrà «uscire dalla sindrome del no» e costruire trivelle nel mare, grandi opere e autostrade senza la paura di «tre o quattro comitatini» locali. Così si potranno prendere più velocemente decisioni e produrre milioni di posti di lavoro. È più realistico pensare, invece, che sarà assicurata solo la devastazione del territorio.
E per finire, la democrazia sarà meno partecipativa. Per proporre leggi di iniziativa popolare, infatti, serviranno non più 50mila firme bensì 250mila. Invece per proporre i referendum serviranno 500mila firme e un quorum con la maggioranza degli aventi diritto al voto, oppure 800mila firme e un quorum con la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni politiche.
Doveva essere rottamato un sistema fatto di sprechi, corruzione ed evasione fiscale per fare più investimenti. Invece – come ha sostenuto Rosy Bindi – qui si sta rottamando soltanto la Carta costituzionale in base a un accordo fatto dai due capi-partito Renzi e Berlusconi.
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