COLPO SU COLPO
Non c’è niente da fare, ogni volta che accade un evento violento a scuola o per la strada, protagonisti i giovani, ci sono sempre le solite contumelie a fare da contraltare. Non c’è da preoccuparsi, sono cose che accadono dalla notte dei tempi, poco più che ragazzate. Poco più appunto di un po’ di bullismo becero, di ideologie attraversate da smemoratezza e poca attenzione. Così facendo nella scuola come nella vita, le violenze aumentano. A ben notare i comportamenti dei più giovani, ricalcano atteggiamenti mal radicati nel vivere quotidiano del mondo adulto, il mirino è puntato sul più fragile, il più apparentemente debole, il meno attore professionista, quello che viene da fuori, da lontano, così diverso per colore, origine, modo di sentirsi. La scuola non è nella condizione di autoassolversi, di ribaltare la situazione in altri ambiti, perché il gruppo dei pari e la platea plaudente nascono proprio al suo interno. La didascalia per cui nel mio istituto non ci sono aiuole incolte né erbacce cattive qua e là, è una inutile giustificazione. Più verosimile sarebbe contare senza se e senza ma su una professoralità sempre più spinta e sospinta dall’entusiasmo del proprio ruolo educativo-formativo, forse occorrerebbe incentivare quell’area ben definita di maestri, professori, docenti, che devono risultare esempi costitutivi perché costituiscono il perimetro mai celato da cui apprendere il valore primario del rispetto. Ultimamente c’è un dispendio inusitato di pugni, calci, ginocchiate, di zigomi gonfiati, come ai miei tempi, certo, soltanto che in questo presente obliquo e sgangherato, la scazzottata non finisce con qualche occhio pesto, spesso, sempre più spesso c’è chi rimane a terra cancellato, per chi e per che cosa non è dato saperlo, perché si tratta di una violenza davvero inutile. Come più volte ho tentato di dire in passato il vero boia di questo terzo millennio è l’indifferenza, che alberga nei gesti quotidiani mina alle fondamenta l’importanza dello stare insieme, del rispetto di ognuno e di ciascuno. Quando di mezzo ci vanno comunque i giovanissimi è necessario prima ancora delle punizioni, delle prediche nazional-popolari sul rispetto delle regole, andare al nocciolo della questione, la diaspora della condivisione scuola-famiglia, come se una delle due parti invece di partecipare al bene comune avesse deciso di proseguire il cammino di esempio educativo per proprio conto, optando per un nuovo ruolo genitoriale, quello del sindacalista pronto a tutto per consentire al proprio pargolo di continuare a svolgere la parte di battitore libero. Dimenticando però che quella libertà è tale perchè significa responsabilità, non certamente un’arringa basata sull’incapacità di fare scelte condivise.
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