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“Close”, il film di Dhont: correre (contro i pregiudizi) per trovare la propria libertà…

“Close”, il film di Dhont: correre (contro i pregiudizi) per trovare la propria libertà…
Marzo 21
11:45 2023

Close (2022), il film di Lukas Dhont per prima cosa è un film formalmente bello. Racconta gli ambienti esterni e gli interni con una fotografia nitida e calda e le immagini danno corpo ad un racconto contemporaneo, scansionando una quotidianità realistica ma mai pedante né noiosa. Vanta una candidatura all’Oscar per la regia. Dopo una ennesima estate felice Leo e Rèmi cominciano le scuole superiori, sempre insieme, sempre inseparabili, spesso dormono l’uno a casa dell’altro, le famiglie condividono, tutto procede per il meglio. I nuovi compagni di classe, alcuni già conosciuti dai due, fanno intendere che la loro più che un’amicizia sembra una relazione amorosa. Con sorpresa, il più seduttivo dei due, Leo, il più affettuoso e attaccato all’amico, questi di carattere più silenzioso e riflessivo, la prende male e comincia a staccarsi dall’altro. Prima in modo che sia salva una certa forma d’apparenza e poi non aspettando più Rèmi nemmeno la mattina quando in bicicletta percorrono in un bellissimo scenario di campi da tarda estate, trionfo di vita e luce, la strada che li divide dalla scuola. Mentre prima Rèmi ha perdonato l’allontanamento dell’amico, stavolta gliene chiede conto in maniera plateale e i due s’azzuffano e si tolgono il saluto.

Leo stringe una maggior amicizia con gli amici dell’hockey su ghiaccio: sente di non farcela sempre, la sua inadeguatezza aumenta con la distanza da Rèmi, che sembra essere la parte portante di questa amicizia. Rèmi prova a riallacciare con Leo ma lui sembra sordo ad ogni chiamata, il solo sospetto, anche non troppo insistito di omosessualità da parte dei compagni lo ha portato a cambiare amicizie e abitudini, gettando sulle spalle dell’altro ogni insistenza e seduttività messe invece in campo per tenere saldamente accanto a sé l’amico col quale, davvero, erano inseparabili. Rèmi si fa definitivamente da parte. A quel punto Leo, ripetendo dinamiche già viste, cerca con un compagno di hockey la stessa condivisione di tutto che aveva con Rèmi ma s’accorge che con nessuno è, può essere, la stessa cosa. Il suo crescente dolore, davanti alla nuova condizione si materializza nella ricerca di situazioni in cui ‘rivivere’ Rèmi ed in un braccio rotto proprio durante un allenamento a quello sport al quale si sforza di appartenere: che insulta il suo fisico minuto, che sfida la sua competitività in maniera quasi bestiale, che non gli appartiene forse fino in fondo, e tutto sembra cedere. Le sue paure prenderanno forma sotto le insistenze della madre di Rèmi che, partecipe della loro vecchia amicizia, cerca di capire cosa sia successo davvero. Leo, prima fa l’adulto, poi, forse, comincia a temerne, proprio fisicamente, la presenza e la resa dei conti lo troverà quasi intero ad accollarsi tutto il dolore portato dalle scelte forse avventate, ma sobillate dall’esterno, sue e di Rèmi. Straordinari il biondo solare Eden Dambrine/Leo ed il moro un poco ombroso, acerbo musicista, Gustav De Waele/Rèmi. Ritroviamo in questa pellicola anche l’indimenticabile Émilie Dequenne, la Rosetta dei cineasti belgi, i fratelli Dardenne, allora caparbia e combattiva fino alla cattiveria, qui disarmante madre di Rèmi, capace di dare affetto oltre ogni previsione. Di grande impatto visivo e bellezza le scene inziali e finali del film in cui i protagonisti, da soli o assieme, corrono in mezzo a campi di fiori multicolori coltivati per mestiere dai genitori di Leo. Simbolo, sembrerebbe, di quella corsa all’apparenza senza fine che gli adolescenti fanno per uscire dall’infanzia, per essere se stessi e trovare la propria strada fuori da ogni pregiudizio, (negli sguardi già un presagio adulto che chiede ascolto); corsa che iniziò con Antoine Doinel/Jean-Pierre Léaud, alter ego del regista François Truffaut, nel film del 1959 I 400 colpi, e che probabilmente non va mai ostacolata né sottovalutata in nessun individuo alla ricerca della propria dimensione, della propria libertà. (Serena Grizi)

L’articolo appare anche su Variazioni

 

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