Claudia Conte. La vita, l’anima e le loro oscillazioni
“Il vino e le rose. L’eterna sfida tra il bene e il male”: questo è il titolo del nuovo romanzo della giovane scrittrice e attrice Claudia Conte, originaria di Cassino (Armando Curcio Editore, pp. 283).
L’opera si muove, alternandoli, fra due diversi generi: quello saggistico e quello narrativo. A tenere le fila del tutto è la voce narrante in prima persona dell’autrice, la quale, tuttavia, intende raccontarci in modo articolato le storie di tre donne – dalla giovinezza sino all’età adulta –, i cui eventi, quasi fin da subito, verranno a intrecciarsi reciprocamente. Tre amiche, tre personaggi femminili abbastanza dissimili. Tre persone comuni appartenenti al ceto medio del nostro Paese, e dunque distanti dagli estremi sia della grande povertà che della gran ricchezza.
La frequente, e voluta, oscillazione di tono tra la voce narrante e le singole vicende, è in certo modo rappresentativa di una ‘oscillazione’ più grande e altrettanto incessante: quella dell’esistenza degli esseri umani.
C’è Irene, donna solitaria e introversa sin da bambina, che si è sempre percepita un po’ ai margini della vita sociale. C’è Eva, al contrario aperta e sorridente – perlomeno all’apparenza –, da tutti ammirata per la grande bellezza. E poi c’è Luisa, grintosa e portata, fin da giovane, per la vita in mezzo al ‘gruppo’, apparendo talvolta anche frivola.
Tuttavia, giudicare dalle premesse che la vita offre può portarci fuori strada: assai lontano dalla verità.
Nella vita chi spesso risulta, secondo il sentire comune, il soggetto più atipico e meno incline ai sorrisi facili (ossia Irene, nel nostro caso) può arrivare a catalizzare su di sé dei sentimenti di stima e affetto sincero da parte di chi gli è più intimo. Proprio perché ha familiarità con una dimensione, la solitudine, che è normalmente elusa dai più, ma che permette di analizzare le cose con grande chiarezza. Sarà così che Irene – non senza un certo stupore – vedrà crescere negli anni il suo livello d’intimità proprio con Luisa: cioè con colei che aveva sempre invidiato, da adolescente, per la capacità di stare in mezzo agli altri.
Anche con Eva, del resto – donna bella, ma in cui si cela un’invisibile malinconia –, Irene riuscirà a creare un’intesa profonda sul piano dell’anima, e a dispetto delle diversità.
Ogni cosa, nel romanzo di Claudia Conte, procede all’insegna di una compenetrazione tra vite diverse. Sullo sfondo di scelte da compiere, percorsi da seguire o lasciare, amori trovati o perduti, ognuno dei personaggi ‘presterà’ all’altro – reciprocamente – un pezzo di sé che a quello manca. Un po’ come con gli album di figurine della nostra l’infanzia: quando quasi nessuno aveva l’album completo, ma a tutti mancava ‘qualcosa’ di cui un altro, magari, disponeva in sovrappiù (e ciò era vicendevole). « Occorrono troppe vite per farne una », scrisse Montale. Un verso che di questo libro potrebbe esser la colonna sonora.
Forse il senso di tutto, alla fine, sta davvero nel vino e nelle rose – come afferma la scrittrice. Arrivare a capire perché, a questo punto spetta solo al lettore.
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