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Cittadinanza negata

Luglio 05
15:26 2019

In Irpinia, come pure in altre aree interne del nostro Meridione, la negazione della “cittadinanza attiva” tanto decantata, ma solo a chiacchiere, la negazione dei diritti politici e civili alle classi subalterne ed il loro asservimento ai vari notabili locali, obbliga le giovani generazioni proletarie a mendicare elemosine e favori elargiti secondo prassi di stampo clientelare e paternalistico-feudale, retaggio ereditato dal passato, sia per ottenere un lavoretto miserabile, a tempo determinato, quindi precario e malpagato, sprovvisto di una qualsiasi tutela, sia persino per ricevere un normale e banale certificato, per cui i diritti sono svenduti in termini di volgari ed ipocrite concessioni in cambio di voti politici ipotecati a vita. Questa mentalità succube, da servi mentecatti, sintomo di sudditanza, non cittadinanza attiva, è un malcostume di origine semifeudale, una cultura fatalista tipica delle popolazioni meridionali, è un elemento intrinseco a quella “normalità” quotidiana che finisce per accettare come uno “stato di natura ineluttabile” simili pratiche, in base ad una presunta, quanto inesistente “legge di natura”, che nella realtà storico-sociale non ha alcuna ragion d’essere. In effetti, le leggi naturali, ovvero fisiche, non sono applicabili alla dialettica storica, che è un mondo attraversato da conflitti, tendenze e controtendenze in costante divenire, da processi mutevoli, che si intrecciano in una relazione di interazione e reciprocità, per cui nulla è immutabile nelle vicende storico-politiche degli uomini, come già si evince dalle esperienze rivoluzionarie che hanno abolito i privilegi feudali e la servitù della gleba. Condizioni di vita che per secoli gli uomini hanno accettato in quanto “normali” ed “ineluttabili”, mentre si sono dimostrate modificabili mediante l’azione politica collettiva. Oggi, anche in Irpinia, si registrano percentuali elevate e sconcertanti di “morti bianche”, cifre che denunciano un vero e proprio stillicidio di cui nessuno osa parlare. In Alta Irpinia, i lavoratori sono endemicamente sudditi e ricattabili, in quanto asserviti ai vecchi notabili politici locali, dal momento che le assunzioni in fabbrica sono stabilite applicando le vecchie metodologie e le prassi clientelari e familistiche. I segni di ripresa dell’iniziativa proletaria appaiono deboli, parziali, assai slegati tra loro. Non vi sono, attualmente, partiti, soggettività ed associazioni politiche credibili ed in grado di favorire una accelerazione dei processi di presa di coscienza e di auto-organizzazione delle masse lavoratrici. Il proletariato (non solo in Irpinia) non ha ancora acquisito fiducia in sé stesso, non ha rinunciato alle vane illusioni e “favole” propinate dai mass-media “mainstream”, o da quei partiti e da quelle istituzioni di classe (cretinismo parlamentare e simili) che operano al servizio del capitalismo.

 

 

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