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Circuiti e fuori pista nel grande Giro

Circuiti e fuori pista nel grande Giro
Novembre 07
09:10 2011

ZanzottoErano già in mente considerazioni sui mercati, quelli più seri e scoperti, e quelli miserevoli del sottobosco di corte. Due fuori pista, invece, indirizzano i pensieri sulla meraviglia della vita e della morte dell’uomo: su circuiti all’apparenza diametralmente opposti. La prima uscita naturalmente prevista, la seconda inaspettata, proprio all’inizio del percorso: a 24 anni Marco Simoncelli, a 90 Andrea Zanzotto. Vite diverse, non solo per la durata del percorso, ma che appartengono ad un unico grande circuito, dove tutti vincono e perdono, alternativamente. Per alcuni c’è il favore della cronaca, tanti altri gareggiano nel silenzio. Ma vittorie ed abbandoni sono uguali per ognuno, nobilitati dalla ricerca del massimo. Apprezzamenti e commozione differenti nei toni e negli argomenti, ma gli estremi si toccano: nella grandezza della propulsione umana. Zanzotto è stato uno dei più grandi poeti italiani moderni; il suo lungo cammino ha visto la produzione di innumerevoli opere frutto di una progressione continua, che parte dagli iniziali temi cari del paesaggio (alberi, fiumi, gregge, luna, neve) cantati nel rispetto della sonorità metrica e vissuti in una dimensione chiusa-ampia di stampo leopardiano, per giungere a sperimentalismi arditi, rappresentati volta a volta dall’uso del dialetto, del linguaggio infantile (petèl, balbettio) o babelico (un vociferare infinito), fino al silenzio significativo di una regressione afasica. Dunque una ricerca continua, ma non fine a sé stessa, al contrario densa di riflessioni filosofico-esistenziali. Viene improvviso un accostamento: a “quell’amico che col cacciavite fa miracoli”. Ecco immaginiamo Simoncelli (arditamente, certo, che male c’è?) che, sull’altro versante, in preda alla passione, crea poesia sulla sua moto con un semplice cacciavite. Diversità e contatti si susseguono nel grande giro della vita. Zanzotto, il poeta, veneto e riservato, afflitto spesso da una malattia cronica; Simoncelli, il campione, romagnolo esplosivo e scherzoso. Si danno la mano per vie traverse, ma non tanto: il loro legame è Fellini, il genio, che era anch’egli romagnolo. Zanzotto e Fellini si conoscono nel ’76 ed il poeta collaborerà, con versi e spunti di sceneggiature, al Casanova e a La città delle donne; nel 1983 scriverà, sempre per il regista, i Cori per quello che consideriamo, a dispetto dei metri correnti, uno dei capolavori del cinema in assoluto, E la nave va, grottesco ed ironico racconto-quadro delle atrocità ed insensatezze della vita. Dunque tutti hanno al loro interno fantasie, slanci e sogni. Si sprigionano spesso in modi e su strade diverse: quella raffinata e difficile (da interpretare) della poesia, quella prorompente e difficile (da eseguire; a pena di morte) del motociclismo da record. Il cerchio si salda, le eccellenze si abbracciano: in palio una vita vissuta spericolatamente, a gettare oltre l’ostacolo perfezioni di immagini e suoni, o millimetri di gomma e sudori. Ma non mettiamo il lutto al braccio – nel cuore, sì, ognuno si regoli come sente – , potrebbe essere una offesa alla ‘persona’ del campione, poeta o corridore, e per il suo struggente sforzo: di indiarsi, ma in modo umano, senza blasfemia. Leggo con sorpresa sulla stampa odierna opinioni racchiuse nel titolo “la morte sulla pista, diciamo addio alle gare”. Il tema centrale delle argomentazioni è che il progresso nel settore ha raggiunto un grado così alto di risultati da rendere inutili altri rischi e ricerche. Chi scrive, sportivo dilettante e praticante, non ha alcuna particolare simpatia per le gare motociclistiche o automobilistiche, ma non può accettare, pur dando per scontato il rispetto delle regole ed il massimo sforzo per la sicurezza (dei terzi in particolare), un messaggio così avvilente e di poco respiro. A seguire perciò aboliamo l’alpinismo, contentiamoci dell’aspirina, cancelliamo i fratelli Wright ed il loro mitico antenato tarpando a tutti le ali per non uscire dal recinto; rivoluzioni poi non se ne parla, costano vite. No, non possiamo aspettarci il progresso solo delle fabbriche di pantofole. Rendiamo omaggio alla memoria dei morti apprezzandone lo spirito, a seconda dei casi, nelle ‘sudate carte’, o nella umana voglia di sfida.

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