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Agosto 01
02:00 2007

Per anni protagonista delle cronache come uno degli eventi spettacolari più significativi dell’estate, il Festival dei Due Mondi è andato lentamente ma inesorabilmente scomparendo dell’attenzione mediatica. Gli scenari classici della rassegna spoletina, dal Teatro romano al Caio Melisso, ancora sempre affollati di pubblico, hanno perduto via via smalto e celebrità. Questo 50° anniversario poi si è celebrato ancora più malinconicamente nell’assenza del Maestro Menotti, suo fondatore e vigoroso animatore, recentemente scomparso. Neppure la presenza in cartellone di alcune delle più significative pagine sinfonico-corali e operistiche del Maestro, dalla particolarissima fiaba madrigalesca The Unicorn, the Gorgon and the Manticore alla Maria Golovin (che ha aperto il Festival, inaugurando dopo lunghi anni di restauro il Teatro Nuovo) è bastata a riaccendere i riflettori su quello che in passato era uno degli appuntamenti più attesi dell’anno. Ma quale il motivo di questo inarrestabile declino? A sentire le voci nei caffé, le lamentele a mezza voce degli esercenti nei locali semivuoti, dietro questa decadenza ci sarebbe la gestione un po’ più utilitaristica che ‘artistica’ di Francis Menotti, sicuramente erede legale (ma quanto anche morale?) del Maestro. Tanto che gli sponsor si defilano e qualcuno avrebbe addirittura preferito dare in beneficenza il congruo gruzzoletto prima destinato al Festival. Intanto, le celebrità sono sparite dalla scena e il pubblico affolla sempre meno gli intellettualistici repechage di opere rare per accalcarsi invece ai ‘processi’, dibattimenti immaginari condotti da giudici e avvocati reali e più o meno noti contro un imputato ‘storico’, evidentemente contumace: dalla monaca di Monza a Caino o quest’anno, con fantasia un po’ morbosetta, al marchese Camillo Casati Stampa, protagonista negli anni ’70 di una storia di voyeurismo conclusa tragicamente con l’assassinio della moglie e dell’ amante.
Fondato nel l958 dal maestro Menotti, musicista e librettista tra i più versatili del ‘900, attento alla tradizione ma abile anche nel rielaborarla e attualizzarla per avvicinare un pubblico più ampio alla grande musica, il Festival nasceva con l’obiettivo di promuovere l’amalgama e l’integrazione tra due culture che la Storia aveva improvvisamente, e per molti versi traumaticamente, messo a contatto diretto: da una parte l’albagia della cultura italiana, antica e ‘mediterranea’, dall’altra la cultura ‘recente’ ma ‘dominante’ in conseguenza della vittoria politico-militare degli Stati Uniti. E proprio nel cartellone di quest’anno sono stati riesumati i Landscapes and remembrances in cui Menotti rievocava gli anni trascorsi negli Stati Uniti. Ma accanto ad essi è stata inserita anche la Missa O Pulchritudo che alle parole del Credo sostituisce citazioni dalle Confessioni agostiniane, a rimarcare appunto l’accostamento ideale tra i Due Mondi. E forse è proprio questo il punto. Più che soffermarsi in una querelle sterile sulla gestione artistico-finanziaria del Festival, ci si dovrebbe domandare se esso, concepito com’è, abbia ancora un senso oggi, in età di globalizzazione e di fronte alla presenza massiccia della cultura statunitense sullo scenario musicale e artistico italiano. E del resto gemellaggi artistici di questo tipo, più o meno stimolanti sono all’ordine del giorno, non rappresentano più una novità o uno stimolo alla curiosità intellettuale che ora piuttosto si indirizza ai paesi e alle culture di recente comparsa sullo scenario della vecchia Europa, dall’Africa alla Turchia all’India. Perché non pensare dunque ad uno ‘svecchiamento’ del Festival, e anche ad un momento spettacolare che sia il frutto di un operare comune,attraverso stage, seminari ecc., di una sinergia tra forze nuove, coinvolte anche ai fini della individuazione, formazione e scambio di nuovi talenti nell’ambito delle varie sezioni in cui si articola il Festival. Tra queste del resto, e forse non a caso, la più stimolante è risultata quest’anno quella cinematografica, che ha visto tra gli altri la partecipazione di Andy Garcia. Questi, presente in Italia per il lancio del film Oceans Thirteen, è stato ospite del Festival in una duplice veste: come regista e attore del film The lost city, drammatica rievocazione della situazione pre-castrista all’Avana; e come musicista con la sua band cubana, la CineSon All-Stars nello scenario del Teatro Romano, dove ha presentato non soltanto alcune delle musiche del film, ma anche una serie di altre ‘improvvisazioni’ ispirate alla musica della sua terra d’origine, con risultati travolgenti.

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