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“Che fine ha fatto il futuro?”

Settembre 29
15:58 2010

Mi ricorda una lezione al liceo in cui uno psicologo ci diceva che la condizione di adolescenza è vivere pensando che il presente sia infinito (un pensiero che induce a comportarsi in maniera irresponsabile, approssimativa, demandando a domani quel che oggi non si fa, etc), ma sotto un altro punto di vista, dandole un altro senso, questa frase: “il presente è infinito”, può significare che quello che ci circonda, persone, animali, piante e cose, è “infinito” per noi se gli diamo una valenza importante e se lo proteggiamo a tal punto che diventa il nostro futuro ora. Succede che siamo così in grado di trasformare il presente anche nei periodi di crisi, per quanto è possibile, e Frammenti ha dimostrato che è possibile, crescere. Dieci anni e in questa nuova edizione tante sono state le novità. È vero che è stato in formato ridotto (tre giorni rispetto le passate edizioni che duravano una settimana)… un mp3 però di qualità possiamo dirlo forte.

Il primo giorno il sipario si è aperto con la frizzante musica popolare di Nando Citarella che con i suoi canti e ritmi del centro-sud d’Italia svelerà che, a volte, basta picchiettare su una pelle d’asino per scacciare la paura del domani. Il Festival è cominciato all’ora dell’aperitivo facendo diventare alba un tramonto con un dibattito, una chiacchierata “cresciuta dopo essere stata piantata” in un luogo preciso. L’aperitivo è stato curato dal Torchio Ristorante, mentre il Kiosketto di Grottaferrata aveva uno spazio all’interno di Frammenti per i cocktail; a seguire ci sono stati anche lo spettacolo “Juke Box Spaziale”, ovvero un viaggio nel futuro a bordo di una navicella, immaginato dalle coreografie della compagnia di teatro danzante romana Immobile Paziente (lo spettacolo ha raccolto alcune interpretazioni artistiche del viaggio nello spazio facendone un juke box dove è stato il pubblico a decidere quale performance vedere per prima); e “La vita imitata”: monologo scritto da Tiziana Colagrossi Segnalini e ispirato al libro di Augé della compagnia la Chiave del Sol per riflettere sull’uso della parola nel mondo contemporaneo. Dj set di Ital Noiz Powerdub System e Radici nel Cemento.

Il giorno seguente, tre settembre 2010, Marco Travaglio, giornalista e scrittore, con il suo spettacolo “Promemoria. Quindici anni di storia italiana ai confini della realtà” riavvolge tutto al ’92; lo scoppio di Tangentopoli, passato-presente. Travaglio ha riportato 15 anni di cronache da un paese in cui la a-normalità è diventata normalità. Tangentopoli, le stragi di mafia, ricatti incrociati della politica, l’attacco alla Costituzione. Ma anche, e soprattutto, i retroscena dell’ascesa imprenditoriale prima, e politica poi, di Berlusconi e di altri celebri protagonisti della nostra scena politica. Un promemoria per un paese che dimentica con facilità la sua storia. Alla “musica delle parole” sul palco si alternava quella del violino e del canto di Valentino Corvino e Fabrizio Puglisi. Sì, perché questi appunti d’Italia un po’ “scordata” (non tanto “intonata al futuro”) e di un italiano che si scorda quello che dice appena lo dice (perché tanto fa…per sé e tutto da sé, -avete capito chi no?-), assomigliano per questo di più a un rumore o una musica, perché le parole perdono il senso che non viene dato loro da chi le usa (tale Berlusconi) solo come note, parole che nessuno sta più a sentire, parole vuote (le sue non quelle di Marco Travaglio).

Prima e dopo Promemoria, come da tradizione di Frammenti, dj e vj set curato da Sostanze Records. Hanno chiuso la giornata i Trees Take Life, un duo elettro-acustico tutto al femminile.

A metà del festival “fanno centro” i Sud Sound System & Bag a Riddim Band, introdotti da The Out of Tunes, la band vincitrice lo scorso anno del concorso Frammenti musica live. Li abbiamo intervistati

 

Intervista a Nello dei Sud Sound Sistem:

 

Avete partecipato al festival Rototom a Benicassim. Un festival tutto italiano che però approda in Spagna per la prima volta alla sua 17° edizione. Quali considerazioni.

 

Da una parte c’è stato il dispiacere, perché in Spagna un festival del genere ha avuto un impatto mediatico estremamente positivo: le tv più importanti e i giornali ne hanno dato notizia parlando in maniera complessiva del festival di musica reggae come luogo di dibattiti e convegni su tematiche sociali ed ambientali; stand di yoga e meditazione. Al contrario in Italia a livello mediatico e di opinione pubblica è stato sempre etichettato come un festival di consumo di droga leggera, e la musica reggae (come pure il festival) non si può catalogare e ridurre a questo. Purtroppo da quando c’è la legge Fini-Giovanardi in Italia si fa una discriminazione così forte anche del consumo di droga leggera che non ha fatto altro che provocare danni, basti pensare a uno dei suoi effetti: l’aumento del consumo di cocaina, che è veramente dannosa. In Spagna (dove la ganja per uso personale è legale) è diverso. Sicuramente tutto questo ti fa rabbia, ti fa rabbia pensare alle difficoltà riscontrate a livello istituzionale in Italia per trovare sostegno per alcuni tipi di iniziative culturali, quando questo non accade nello stato spagnolo. Ma dall’altra parte l’enorme successo riscontrato a livello di pubblico e di media è stato uno schiaffo morale all’Italia. Comunque al festival c’erano tanti ragazzi e ragazze italiani che sono venuti a sentirci, il nostro pubblico è stato il doppio rispetto alle passate edizioni del Rototom in Italia.

 

Siete una delle poche band italiane a cantare in dialetto. Per questo e per altri aspetti lanciate un messaggio rivoluzionario: penso alla canzone “Brava gente” in cui cantate: “Per l’amore che tu dai per il bene che tu fai: la brava gente non cadrà mai! Per la speranza che tu crei per l’aiuto che tu dai: la brava gente non cadrà mai! Pe ci difende l’onestà a favore della lealtà, pe ci dae aiutu e nu varda alla ricompensa, pe ci vive de ddhra luce ca ne moscia verità, per questo sai la brava gente mai cadrà!”. La positività è un tratto che caratterizza questa canzone come tante altre. In un periodo come questo in cui la gente non fa che lamentarsi ed è pessimista, voi invece attraverso la musica e i suoi messaggi, infondete un senso di non arresa, di combattività, perché c’è tanto da fare. Cosa vorreste dire agli italiani che dormono? Da dove viene questa positività? (Che non è l’ottimismo mascherato di Berlusconi ovviamente).

 

A quella parte di italiani che dormono vorrei dire che la rivoluzione della mente è quella che conta. E quindi siccome la conoscenza va ricercata, vorrei dire di non accontentarsi delle bugie o delle mezze verità della televisione ma di ricercare la verità.. nel posto in cui vive parlando con la gente oppure andando a cercare le informazioni da altre parti, su internet o leggendo più giornali, anche esteri. La positività è data dal fatto che nel mondo ci sono persone che credono nelle cose in cui cantiamo e vivono per difenderle, la positività è poi la nostra musica.

 

Come mai nessuna canzone dedicata a Roberto Saviano o a qualche personaggio di riferimento per i giovani d’oggi. Secondo te i giovani d’oggi hanno dei punti di riferimento?

 

Non ci piace mitizzare qualcuno o farne un divo. Per noi è l’opera dell’artista o dello scrittore ad essere più importante, così più importante dei Sud Sound Sistem è la nostra musica. E poi cos’ha di meno un precario qualunque che lavora a tempo pieno e non ce la fa a tirare avanti o l’immigrato sottopagato etc. sono loro che vanno innalzati a paro titolo, sono loro i protagonisti delle nostre canzoni.

 

 

 

Intervista a Fernando Blasi dei Sud Sound System:

 

Lotta in difesa dell’ambiente e contro la mafia. Oggi, 4 settembre, finisce ad Otranto un convegno sull’economia illegale. La musica come strumento per diffondere pensieri di legalità?

 

La verità viene dalla strada, è la realtà che ti grida addosso. Noi nelle canzoni la raccogliamo, raccogliamo le grida di una parte della verità e la riportiamo. In questo modo andiamo alla ricerca dell’equilibrio che è ciò che va perseguito, l’onestà.

 

“Radici ca tieni” è la mia preferita, fantastica. Secondo voi gli italiani ci tengono alle loro radici? Le radici si riferiscono anche all’Africa, culla dell’umanità. Secondo te quale è il modo migliore per aiutare l’Africa?

 

Tenere alle proprie radici vuol dire non inquinare, non buttare immondizia di ogni genere per terra. E il non rispetto dell’ambiente è lo specchio anche del non rispetto verso se stessi e gli altri, compresi gli immigrati. La maggioranza degli italiani non si rispetta e non rispetta. Riguardo all’Africa, siamo tutti africani! E il modo migliore per aiutare l’Africa è prima di tutto far fare all’Africa; fare che l’Africa sia la prima a pensare a se stessa.

 

Quale è il messaggio principale che volete dare oggi al pubblico di Villa Sciarra e quali sono i vostri progetti per il futuro.

 

La cosa più importante penso che oggi è superare quel divario che c’è tra volontà e azione, tra volontà e mente. “Tra il dire e il fare…”. Questo mi preme di dire ora. Riguardo ai nostri progetti vi lascio la curiosità e la sorpresa.

 

Grazie!

 

Sorpresa finale del festival è per noi invece la fenomenale band Ojos de Brujo. Il loro rullino musicale: frammenti di tante musiche mescolate insieme. E la musica-vento di una città di porto, che porta da ogni parte, ci fa sì insinuare in strade ondose di gonne e di mare della Barcellona bella, ma ci riporta anche, attraverso il ritmo così vario della musica, a fluire col pensiero nel passato- presente, in quelle vie e pieghe che le vite personali prendono quando danzano e incontrano gente: allora ci mescoliamo, innamoriamo, rischiamo, danziamo. Così la musica si fa occasione e scenario di incontri, rincontri, danze, ricordi.

 

Intervista a Ramon Gimenez, chitarrista di Ojos de Brujo:

 

Come nasce l’idea della fusione tra vari generi e come avviene nella pratica questa incredibile creazione?

 

I musicisti del gruppo hanno tutti un loro stile che messo insieme l’un con l’altro caratterizza lo stile degli Ojos de Brujo. Questo stile si può sintetizzare con la parola “inquietudine”. Gli Ojos de Brujos sono l’inquietudine. Il nostro non è il flamenco tradizionale ma è mescolato appunto con altri generi: hip hop, reggae, funk, elettronica. Tutto ciò è avvenuto spontaneamente: i musicisti del gruppo, provenienti da vari paesi del mondo, si sono conosciuti durante delle serate di jam session a Barcellona ed hanno deciso di unirsi, non perdendo la loro identità musicale ed in parte perdendola nella fusione con altre musicalità.

 

Techarí, il nome del loro terzo album, è forse la parola che più si avvicina ad una definizione di Ojos de Brujo. Techarí, in dialetto caló significa “libero”. Liberi di scrivere canzoni, di decidere i concerti ai quali assistere, le tournée mondiali da realizzare e il ritmo della produzione di dischi da mantenere. Conservare questa libertà non è facile immagino, (non è facile rinunciare a numerose proposte delle case discografiche e dire “No” ai festival sponsorizzati da grandi multinazionali). Come vivete il Techarì?

 

La libertà è il nostro modo di essere nella vita e nella musica e quindi nelle nostre scelte. Tutto qui. Il Techarì ci caratterizza, non il pensiero del successo. Quella parola dà nome al nostro disco ma ogni canzone contiene una parola in dialetto.

 

Nel vostro vivere libero, in giro per il mondo c’è un posto in particolare che vi ha incantato di più e che cantate nelle vostre canzoni?

 

Non c’è un posto in particolare. E’ l’incontro quel posto, è qui. Ogni volta che le diversità si incontrano, senza brutalmente scontrarsi.

 

Grazie a Ramon, grazie a Marina e a tutti gli Ojos de Brujo!

 

Hanno aperto il concerto degli Ojos de Brujo i Massive Pulse, band romana menzione speciale del concorso Frammenti Musica Live. Il progetto Massive Pulse si propone di fondere miscele differenti di musica: dal rude crossover al raggamuffin giamaicano per far scaturire un’energia nuova, sorella delle differenti culture musicali. Dj-set di Sostanze Records. Dopo il concerto degli Ojos de Brujo hanno spento dolcemente la luce di Frammenti gli Swing de Bois, trio romano che rende omaggio al gipsy jazz, uno stile che unisce l’antica tradizione musicale zingara del ceppo Manouches e il Jazz americano, attraverso rivisitazioni dei brani più famosi dell’inventore di questo genere, Django Reinhardt e dei classici dello swing anni ‘30 e ‘40.

Durante il Festival ci sono stati corsi di musica e danza. Dal 2 al 5 Settembre l’Auditorium delle Scuderie Aldobrandini a Frascati ha ospitato masterclass gratuiti di teatro e danza nell’ambito del progetto Attacchi di Core 2 a cura di 369 gradi. Tra gli stand e le bancarelle di artigianato ricordiamo qui il progetto Fontanelle di Milano. Come ci dicono gli standisti: “Si tratta di un progetto ideato e realizzato (in orario extra lavorativo e senza alcun fine di lucro) dall’associazione culturale a8b.it. Essa è composta da un collettivo di persone impegnate nella ricerca e progettazione di stili di vita eco sostenibili. L’idea nasce dall’esigenza di rieleggere la funzione della fontanella a patrimonio da salvaguardare e come diritto di tutti, per riscattarla dal non uso e rivestirla della sua dignità storica ed estetica. Simbolo di accessibilità all’acqua come bene comune. Questo progetto vuole fermare lo spreco che sta dietro l’uso quotidiano del PET, la dipendenza e l’assuefazione alle bottiglie di plastica prodotta dalla cultura della mercificazione”. Per altre informazioni vedi sito www.fontanelle.org. E’ stato presente per tutte le serate del Festival il Giardino Letterario a cura della casa editrice Minimum Fax; la mostra di vignette dell’artista Andy Ventura, Dj e Vj set, concerti dei gruppi vincitori del concorso Frammenti musica live, fraschetta a km o. , reading e artisti di strada.

 



 

 

 

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